Il nuovo Presidente della Repubblica e quel fratello ucciso dalla Mafia
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Sergio scelse di entrare in politica dopo l'assassino di Piersanti, all'epoca governatore della Sicilia schierato contro Cosa Nostra
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Il nuovo Presidente della Repubblica vide morire il fratello, il 6 gennaio 1980, all'epoca presidente della Regione Sicilia. Arrivò sul luogo del delitto dove si trovavano il nipote Bernardo e la cognata Irma Chiazzese. Piersanti era appena entrato in auto insieme con la moglie e il figlio per andare a messa, un killer si avvicinò al finestrino e lo uccise a colpi di pistola. Da allora Sergio scelse di entrare in politica.
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Nel 1995 vennero condannati all'ergastolo i mandanti dell'omicidio: i boss mafiosi di Cosa nostra Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci. Durante il processo, la moglie di Mattarella, testimone oculare, dichiarò inoltre di riconoscere l'esecutore materiale dell'omicidio nella persona di Giuseppe Valerio Fioravanti, che tuttavia sarà assolto per questo crimine poiché la testimonianza della signora Mattarella e le altre testimonianze contro di lui (quella del fratello Cristiano Fioravanti e del criminale comune pluriomicida Angelo Izzo) non furono ritenute abbastanza attendibili.
Gli esecutori materiali non sono mai stati individuati né risultano, a più di tre decenni dal delitto, piste investigative che facciano sperare nella possibilità di acclarare compiutamente l'accaduto.
Nella sentenza della Corte di Assise del 12 aprile 1995 n. 9/95, che ha giudicato gli imputati, è scritto che ”l'istruttoria e il dibattimento hanno dimostrato che l'azione di Piersanti Mattarella voleva bloccare proprio quel perverso circuito (tra mafia e pubblica amministrazione) incidendo così pesantemente proprio su questi illeciti interessi” e si aggiunge che da anni aveva "caratterizzato in modo non equivoco la sua azione per una Sicilia con le carte in regola".
"Con mio fratello eravamo molto legati e non c'era cosa che ci riguardasse che non ci dicessimo l'un l'altro". Quella frase riferita qualche giorno dopo il delitto del presidente della Regione, dal fratello Sergio al giudice istruttore racchiude l'intenso rapporto che intercorreva fra i due.
Silenzioso, è stato in questi anni sempre in prima fila in tutte le cerimonie in ricordo del fratello del quale ha sempre riconosciuto l'impegno amministrativo per la legalità che fu la causa della sua morte. Osservava: "Mio fratello quando era presidente della Regione ha compiuto gesti molto significativi che di per sé, in un ambiente intriso di mafiosità avrebbero potuto provocarne l'uccisione. Come l'ispezione per fare luce sugli appalti per le scuole concesse dal comune di Palermo".
Sergio Mattarella ha sempre ricordato "lo slancio innovativo nella vita politica del fratello che portò per esempio all'approvazione delle legge regionale che rese più trasparente l'assegnazione delle opere pubbliche regionali". Un ansia di rinnovamento quella di Piersanti che secondo il giudice costituzionale "insieme alla sua abilità politica di cui era dotato stavano e non tanto lentamente, riuscendo a creare un'atmosfera diversa e migliore e, soprattutto una classe di dirigenti, che riconoscevano la sua guida e che erano più alieni di tanti altri da compromissioni con ben individuabili ambienti di potere". Ed proprio a quella eredità politica che Sergio ha sempre detto di ispirarsi.