"La società italiana e le sue Istituzioni seppero respingere quell'attacco alla convivenza civile grazie alla forza e alla coesione dell'unità della comunità nazionale, fondata sui principi della Costituzione", ha sottolineato il presidente della Repubblica
A 50 anni dalla strage dell'Italicus, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, torna a parlare della strategia del terrore di quegli anni. E sottolinea che "nella catena sanguinosa della stagione stragista dell'estrema destra italiana, di cui la strage dell'Italicus è parte significativa, emerge la matrice neofascista, come sottolineato dalla sentenza della Corte di Cassazione e dalle conclusioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia P2, pur se i procedimenti giudiziari non hanno portato alla espressa condanna di responsabili". Il Capo dello Stato chiarisce però che "la società italiana e le sue Istituzioni seppero respingere quell'attacco alla convivenza civile grazie alla forza e alla coesione dell'unità della comunità nazionale, fondata sui principi della nostra Costituzione".
"È con profonda commozione che ricordiamo la terribile strage dell'Italicus, avvenuta nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974", ha scritto su Facebook, il presidente del Senato, Ignazio La Russa. "Un ordigno fatto esplodere mentre il treno viaggiava sulla linea ferroviaria Bologna-Firenze, nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sambro provocò la morte di dodici persone. A distanza di 50 anni da questo attentato di matrice neofascista - come stabilito dalla Corte di Cassazione - rinnoviamo il nostro dolore e ci stringiamo alle famiglie delle vittime e ai sopravvissuti per una ferita che resta ancora aperta".
All'1.23 della notte di domenica 4 agosto 1974 una bomba esplose sul treno Roma -Monaco con 342 persone a bordo - nel tratto di transito a San Benedetto Val di Sambro, sull'Appennino bolognese - causando 12 morti e 48 feriti. Italicus fu rivendicato da Ordine Nero, ma non ebbe responsabili. Tra le vittime, di età fra 14 e 70 anni, tre turisti stranieri (un olandese, un austriaco e un giapponese), tre componenti di una famiglia - marito, moglie e figlio adolescente - e il 25enne forlivese Silver Sirotti, medaglia d'oro al valore civile, controllore che non doveva nemmeno essere in servizio quella notte. Fu tra i primi a soccorrere i passeggeri nella carrozza colpita, la quinta, sventrata quasi all'uscita dalla lunga galleria dell'Appennino toscoemiliano, e morì sopraffatto dal fuoco e dal fumo. "E' una strage dimenticata, per la giustizia italiana non ci sono colpevoli - ha detto il fratello Franco a Repubblica Bologna - Siamo fermi alla Cassazione, dove i neofascisti furono assolti. Ci è mancato anche il non avere un'associazione delle vittime, e in questo Paese solo con l'impegno dei familiari si tengono i fari accesi. Sono in contatto con un pool di avvocati, non sarà facile ma puntiamo alla riapertura delle indagini".
Lo stesso relitto del vagone sventrato non è stato conservato. Il 9 maggio a Palazzo Madama in occasione della Giornata in memoria delle vittime del terrorismo, alla presenza di Mattarella, Franco Sirotti ha lanciato un appello, chiedendo di togliere il segreto di Stato su tutte le stragi. L'Italicus fu rivendicato da Ordine Nero, ma non ebbe responsabili: tutti gli imputati processati - in particolare Mario Tuti e Luciano Franci, ritenuti leader e gregario della cellula toscana del Fronte nazionale rivoluzionario - sono stati assolti, in uno scenario fatto anche di segreti di Stato, depistaggi e coperture. "Mancano le prove - motivarono i giudici della Suprema Corte - esistono solo indizi, tesi e illazioni non suffragati da certezze e fatti concreti".
L'espresso 1486 era partito dalla stazione di Roma Tiburtina alle 20.35 ed era transitato da Firenze Santa Maria Novella a mezzanotte e mezzo, con 23 minuti di ritardo. Al momento dello scoppio - se l'ordigno fosse esploso più all'interno, il numero delle vittime sarebbe stato maggiore - avrebbe dovuto essere a Bologna. L'ordigno doveva già allora colpire la stazione? A bordo, riferì trent'anni dopo Maria Fida Moro, era salito anche il padre Aldo, all'epoca ministro degli Esteri, per raggiungere la famiglia in Trentino, ma prima che il treno partisse fu fatto scendere "per firmare carte importanti". Dieci anni dopo, un altro attentato all'interno della stessa galleria, quello del rapido 904 Napoli-Milano (domenica 23 dicembre '84) carico di passeggeri in viaggio per le feste di fine anno, costò la vita a 16 persone, 267 i feriti.