Perché dobbiamo pagare noi i caffé e i corsi di inglese agli onorevoli?
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Lo so cosa diranno. Diranno che in fondo quelli sono spiccioli, che noi facciamo antipolitica, che alimentiamo il senso di disgusto che la gente ha per il palazzo. Come se la colpa del disgusto fosse nostra e non di quel carico di cioccolatini che gli onorevoli sbafano a spese nostre. Perché, vedete, il problema è alla radice, ed è incomprensibile che non l’abbiano ancora capito: il problema non è “quanto” si spende, ma “perché” si spende.
Anche un solo euro che esce dalla Camera dei Deputati e va alla Baratti, anche una singolo bon bon messo a bilancio di Montecitorio, anche una singola Golia Ice Mint della Perfetti, è già troppo. Sarebbe troppo in qualsiasi momento, è troppo soprattutto in un momento di crisi in cui in quelle aule si sono votate alcune delle leggi più dure nei confronti delle famiglie italiane.
E allora: perché qualsiasi italiano se vuol comprarsi un pacchetto di caramelle se le paga regolarmente, e invece i deputati se le fanno altrettanto regolarmente pagare da noi? Per quale motivo dobbiamo offrire agli onorevoli 107mila euro di caffè, 16.800 di carne e salsicce, 8.388 euro di arance fresche? Per quale motivo dobbiamo pagare agli onorevoli i corsi di informatica e di inglese? Nous volevons savuar, come diceva Totò: ma se non conoscono le lingue, non possono pagarsi da soli i corsi? I loro stipendi non sono sufficienti?
Il documento scovato dalla brava Giuliana Grimaldi, cui auguro un futuro pieno di notizie come questa, è impressionante non tanto per la sua cifra complessiva (anche se 124 milioni non sono certo pochi…), quanto per la minuziosa spudoratezza delle spese, e per il menefreghismo quotidiano che essa evidenzia: alla Camera, probabilmente, sembra normale mangiare cioccolatini a spese dei contribuenti mentre i contribuenti vengono costretti a mangiare altra roba, sempre dello stesso colore ma di sapore assai meno dolce. Speriamo almeno che, a forza di mangiare bonbon, anche a loro venga un po’ di mal di pancia come quello che a leggere queste cose è venuto a noi.