La provocazione di Gassmann infiamma i social e lancia il partito di io-pago-le-tasse-e-pretendo. Peccato che a pagare i tributi non siano proprio tutti in Italia. Ma quei rifiuti da ripulire oggi non sono gli stessi che noi abbiamo buttato ieri?
© carabinieri
In attesa di vederne una reale in azione, la tanto agognata ramazza di Alessandro Gassmann ha sconvolto il mondo virtuale. Non c'è bacheca di Facebook senza un commento, non c'è timeline di Twitter senza un hater (colui che online disprezza tutto e tutti a prescindere) in piena tempesta ormonale. Il dibattito ha riportato in auge termini come educazione civica e cosa pubblica mentre "pago le tasse quindi..." è un tormentone carsico. E per una volta il partito delle tasse è da intendersi nella sua accezione positiva: chi paga i tributi ha giustamente il diritto di avere strade pulite, giardini verdi e fontane popolate solo da pesci.
Peccato che appena letta questa frase non spunti sulle agenzie di stampa la puntuale notizia di uno o più evasori totali, di imprenditori completamente sconosciuti al fisco per anni o di società intestate ai mister John Brown di chissà quale paradiso (fiscale, ovviamente). Pagare le tasse, purtroppo, non è proprio il nostro sport nazionale. E chi aderisce al partito del pago-quindi-ho-diritto ha qualche vuoto di memoria: quel diritto non è individuale ma collettivo. Tutti devono camminare su un marciapiede senza fare lo slalom tra bisognini animali. Tutti devono godere di una piazza pulita e integra o tutti hanno diritto di vivere nel decoro urbano (assurdo farne il punto di un programma politico).
Se invece la strada diventa un cesso e se il centro storico una discarica di chi è la colpa? Degli extraterrestri? Dei nostri futuri cugini del pianeta gemello della Terra? Probabilmente sono loro che lasciano sacchi di immondizia poco lontano da un monumento. Sono loro che gettano bottiglie e vasche da bagno ai bordi di un vicolo. Forse sono ancora loro che girano armati di bombolette spray per scrivere "Roma Ladrona” o "Milano in fiamme" sui muri.
Troppo facile pretendere una città pulita quando siamo i primi a conciarla da buttare via. I turisti non sono esenti da colpe ma non possiamo incolparli di tutto lo schifo che c'è nelle nostre stazioni o nei nostri viali. Di sicuro l'Italia resta il Paese del Bengodi dove uno straniero può sfrecciare in auto fregandosene degli autovelox ma non può essere ogni volta colpa dell'invasore, turista o clandestino che sia.
Sempre e solo colpa degli altri. Martin Luther King non ce ne voglia se parafrasiamo una sua famosa frase: "la mia libertà di vivere in un ambiente pulito finisce laddove comincia quella degli altri". Chi ieri ha sporcato, oggi vuole pulire. E domani?