In Portogallo hanno trovato Cristiano Ronaldo ma stanno ancora cercando di riempire un immenso vuoto
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Per tutti gli Under 40 (ma anche 45, una volta si era fuoriclasse anche nel ritirarsi presto) che vogliono capire chi fosse Eusebio Da Silva Ferreira, in arte - sì, la sua era arte - Eusebio, si può provare a sintetizzare affermando che lui è stato l'origine della specie dei Ronaldo e dei Van Basten. Agile e potente, bravissimo con i piedi e pure con la testa, è stato l'uomo che ha cominciato a dirottare il baricentro dei numeri magici del calcio dai classici 10 e 8 che dominavano i tempi suoi e quelli immediatamente precedenti (si pensi a Schiaffino, Sivori, i grandissimi universali Di Stefano e Puskas, allo stesso bambino-prodigio Rivera) al numero 9, all'attaccante puro che spaccava le partite con i gol e con la classe.
I numeri sono e restano impressionanti a dispetto di qualsiasi evoluzione del calcio: basti dire che in partite ufficiali, è più alta la cifra sotto la riga dei conti dei gol (quasi 700) di quella delle presenze. Poi la Coppa dei Campioni vinta (e altre due perse in finale), il Pallone d'Oro, le Scarpe d'Oro, la magìa dei Mondiali del 1966 dove segnò 9 reti in sei partite facendo definitivamente innamorare di sé tutto il mondo. Elegantissimo, powerful, atleta puro anche dal punto di vista morfologico: ai tempi si rifilava un soprannome a chiunque, e lui non poté essere che la Pantera Nera, uno scatto irresistibile, una zampata altrettanto ed era gol.
Proprio nel 1966, sembrava essere stato catturato da Moratti e dalla sua super Inter: in una bellissima intervista concessa a Matteo Marani per il Guerin Sportivo, confessò di avere già firmato un contratto con i nerazzurri e di avere scelto casa a Milano. Poi, proprio i Mondiali per lui magici furono disastrosi per noi: la Corea, Pak Doo Ik, i pomodori marci al rientro in patria. E la Federazione, agendo di pancia e non di cervello, chiuse le frontiere ai calciatori stranieri riaprendole solo nel 1980.
Eusebio, forse, lo colse come un segno del destino: e si legò a doppio filo e fino alla fine al suo Benfica, che, con grande senso di consapevolezza e riconoscenza, lo ha omaggiato e messo sul piedistallo ancora in vita e in buona salute, tenendolo nei suoi ranghi dirigenziali e tecnici e dedicandogli ogni anno, con lui in campo a salutare, la partita di gala che rappresenta il vernissage della stagione. Già è stata leggenda la sua storia, quella di un ragazzo del povero Mozambico, dell'Africa ancora quarto mondo, figlia della colonizzazione, che conquista un Paese e il mondo a suon di calci. Ora, con la sua dipartita terrena, Eusebio assurge alla condizione di mito. In Portogallo, quasi 40 anni dopo la sua uscita dal campo, hanno trovato il fenomeno Cristiano: ma stanno ancora cercando di riempire quell'enorme vuoto là davanti.