ADDIO GABO

Garcia Marquez, "il mio scrittore"

Mi dissero: "Se credi nelle favole...". Da quel giorno non ho più smesso di leggerlo

18 Apr 2014 - 11:17
 © ansa

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Scrivere qualcosa di non banale, non retorico, in questi casi, è un esercizio davvero difficile. Posso dire che per me è stato quello che si definisce "il primo scrittore". L'autore che ti tocca in sorte per scoprire la bellezza del libro, delle narrazione, della favola. Mi dissero: "ha uno stile particolare, devi un po' abituarti, ma se ti piacciono la fantasia sopra ogni cosa e gli asini che volano...". Da quel giorno non ho più smesso di leggerlo.

Così, 13enne, ho scoperto Gabriel Garcia Marquez, forse il più grande scrittore latino-americano di sempre, se non scomodiamo Cervantes prima e Borges poi. L'autore i cui titoli delle opere sono diventati simboli, modi di dire, riferimenti narrativi, luoghi comuni.

E' il narratore per eccellenza dell'America latina. Ci ha aiutato a scoprirne la sua storia, a comprenderne le sofferenze e contraddizioni politiche e sociali, attraverso la magia e la follia dei suoi personaggi, vittime spesso di una natura matrigna che nulla ti regala. Specialmente se devi "fondare una città dal nulla". Ed è il narratore dell'amore, folle o impossibile, predestinato o mortale.

L'ho affrontato, grazie ai consigli della mia insegnante di spagnolo, colombiana di Bogotà, espertissima e orgogliosa del "suo Gabo", per gradi. Prima i suoi racconti, poi il romanzo "La mala ora" che mi avrebbe accompagnato fino a "Cent'anni di Solitudine", il suo capolavoro. Come molti suoi sfegatati e maniacali fan, l'ho riletto (per davvero) almeno dieci volte, unico mondo per capirne la complessa storia, i personaggi, ma soprattutto la magia. Quello che viene definito, appunto, "realismo magico ibero-americano". Non mi dilungo sulla sua letteratura, altri sapranno farlo meglio di me, semplice appassionato.

Mi piace ricordare alcune immagini dei suoi romanzi: il colonnello sudato e disperato che spara alle nuvole per far piovere. L'uomo, forse Marquez stesso, che scruta il viso di una passeggera che dorme in aereo al suo fianco, e ne legge "i sogni scorrere sulla fronte". Il vento impetuoso che rende folli. La pioggia incessante che cancella le brutture degli uomini. Il dentista introvabile e il barbiere "comunista", che tengono in scacco interi villaggi. E molte altre.

Ha rappresentato, e rappresenta ancora, per uno come me che fa il mestiere di giornalista, ciò che avrei voluto essere e ovviamente non sono. Un reporter (sua prima e mai abbandonata professione) che sa raccontare storie. Facendolo davvero bene.

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