L'ultimo attacco alle discipline storiche arriva dal ministro Bussetti: il tema storico è sparito dall’esame di maturità
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Geografia e storia non sono mai state molto amate dagli studenti: troppe date, avvenimenti, guerre, trattati, molta confusione sulle capitali, sui fiumi, i laghi, i confini regionali e nazionali. Eppure codificano le coordinate spazio-temporali della nostra vita, collocandoci nel mondo dalle sue origini al nostro presente. Rappresentano le chiavi di accesso alla realtà nel suo divenire e nel suo essere consapevolezza del mondo.
Dopo la riforma Gelmini del 2008 la geografia è stata marginalizzata nei programmi delle scuole di ogni ordine grado ma specialmente nelle superiori la sua presenza è ridotta al lumicino: 1 ora la settimana in alcuni istituti tecnici, 3 ore nel biennio del liceo ma trasformata in geo-storia, un mostro culturale riduttivo e tutto da inventare. Ci pensa ora il Ministro Bussetti a togliere il tema storico dall’esame di maturità: peraltro statisticamente il meno scelto dai maturandi, circa il 3% delle scelte tra gli ambiti proposti negli ultimi anni.
Tutto molto significativo. Cavalcando una deriva di semplificazione culturale, di obsolescenza della memoria e della consapevolezza del mondo in cui viviamo (e da cui veniamo) viene dato più spazio ai temi di attualità, ai fatti di cronaca, alle libere opinioni svincolate dalla conoscenza. Cacciare fuori a poco a poco la storia e la geografia dagli studi delle nostre scuole superiori, per far spazio all’ingresso di tablet, pc, ricerche sul web e progettini asfittici e culturalmente deprivati significa svincolarsi dalle dimensioni di spazio e di tempo per collocarsi in una realtà virtuale dove tutto è semplificato, ibrido e confuso.
Ed è segno eloquente della pochezza e del conformismo che sta pervadendo una generazione politica che difetta di buona educazione e di cultura: basta ascoltare certi discorsi minimalisti nei contenuti e infarciti di errori sintattici, logici, grammaticali. Colpisce la superficialità di certi tagli alla cultura sedimentata, organizzata, strutturata ma tutto si spiega se chi se ne rende protagonista è esso stesso privo di quella sapientia cordis, quella cultura assimilata che le è prodromica.
Con queste scelte la politica che si occupa di scuola e istruzione finisce per impoverire la solidità del sistema scolastico del nostro Paese: anziché assecondare una deriva che rafforzi le tradizioni, le personalità, le opere, le azioni del nostro passato, anziché valorizzare i luoghi e i contesti del nostro ambiente, per tutelarne l’unicità riconosciuta in tutto il mondo, si finisce per introdurre una pseudo-cultura dell’oblio, ancorata al mero presente, effimera, fittizia, omologata, duplicabile, ripetitiva. Fino a rinnegare l’importanza di conoscere l’ambiente in cui viviamo, le tradizioni dei popoli, la sedimentazione delle culture, il lento configurarsi della presenza dell’uomo sulla terra nelle sue alternanze generazionali.
Come si può parlare di territorio, stato, nazione, confini, migrazioni, identità nazionali, come si può discettare di Europa, scambi commerciali e culturali, moneta unica, cittadinanza e clandestinità se non si conoscono i fatti della storia che hanno configurato gli assetti geografici e sociali dentro cui siamo collocati? “Popolo, territorio, potestà di impero”: questi assunti si ricavavano nel loro valore fondativo e di sintesi nei testi universitari per la preparazione agli esami di diritto costituzionale ed amministrativo. La globalizzazione, come un tarlo corrosivo che prefigura scenari senza segni e senza simboli, ha invertito la rotta di una deriva formativa fondata sull’equilibrio di ratio e traditio, di stabilità e innovazione, di radicamento nella storia e nell’ambiente dell’uomo e dell’umanità.
L’ontogenesi ripete la filogenesi solo se si conosce il passato, che spiega il presente e immagina un futuro sostenibile; la conoscenza dell’ambiente favorisce la contestualizzazione, l’hic et nunc, l’immedesimazione fondata sulla consapevolezza di limiti e possibilità, il lavoro di adattamento dell’uomo applicando criteri di intervento senza cadere nelle scelte dissennate di stravolgimento che il tempo può occultare senza impedire alla natura stessa di far prevalere, sempre, alla fin fine le sue leggi inesorabili.
Vivere in pianura o in riva al mare o piuttosto in montagna implica modelli culturali e condizioni oggettive totalmente differenti. Come si può viaggiare senza conoscere i climi, le latitudini, gli spazi da attraversare, i mezzi di trasporto da usare? E come è possibile vivere in una condizione di pienezza esistenziale il nostro tempo se ignoriamo le origini, il divenire degli avvenimenti, i grandi fatti che hanno cambiato il mondo, l’esistenza di aree di pace e di altre di perenne conflitto?
Viviamo da tempo in un limbo culturale immaginifico, dove le tecnologie stanno sostituendo la conoscenza diretta della realtà, in una sorta di presentismo totalizzante che cancella il passato e ci illude di possedere le chiavi di accesso ad un approccio effimero con questo mondo privato di radici e identità, in una dimensione virtuale basata su impressioni, opinioni, approssimazioni emendabili, cancellazione della memoria, oblio. Nel nome della semplificazione del presente e della rimozione del passato rischieremo di formare menti acritiche e prive di ogni motivazione alla conoscenza.
Che cosa viene meno, che cosa “muore” con queste iperboliche e poco sensate scelte che assecondano una deriva di facilitazione e di “sconto” che pagheremo a caro prezzo, quando le generazioni future brancoleranno nel buio della totale assenza di conoscenze del passato e di svalutazione dell’ambiente come “unico luogo di vita possibile”?
Senza dubbio muore il “genius loci”, quell’anima impalpabile ma sempre presente sottotraccia nella storia e nel mondo che ci spiega da dove veniamo, chi siamo e chi probabilmente potremo essere, che ci fa conoscere ed apprezzare il mondo e il contesto in cui viviamo, dove ogni attimo, luogo, fatto, circostanza, azione, consolidamento, mutamento ha una spiegazione per tutte le domande, a condizione che si sia capaci di porle, a condizione che non si rinunci ad essere ancora e per sempre uomini e donne di ogni posto dell’universo indissolubilmente legati all’esistenza come parte della storia, come parte del “geo” in cui che lo si voglia o no si vive, che ci hanno accompagnato fin qui trovando una collocazione a ciascuno e ad ogni cosa.