A Tgcom24 Alessandro Armuzzi, Responsabile dell’Unità Operativa di Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali in Humanitas, co-direttore dell’IBD Center – Centro Medico Chirurgico per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’intestino - e docente di Humanitas University
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Negli ultimi anni è stato registrato un forte aumento delle malattie infiammatorie croniche intestinali. Tra le più complesse c’è la Malattia di Crohn (nota anche come malattia di Crohn), che colpisce indiscriminatamente giovani e anziani: la sua incidenza è maggiore nella fascia d’età che va dai 20 ai 45 anni, ma questa patologia può presentarsi anche in età pediatrica. Diagnosticare il Crohn non è sempre facile: spesso i pazienti affetti da questa malattia manifestano sintomi poco evidenti e specifici e ciò può portare a diagnosi sbagliate, ad esempio, è frequente confondere questa patologia con un’altra di cui si sente molto parlare: la sindrome dell’intestino irritabile. In media, un paziente su 4 ha un ritardo diagnostico di oltre 5 anni, il che comporta l’insorgere di complicanze. È, quindi, fondamentale creare maggiore consapevolezza intorno a questa patologia, in modo tale da promuovere un suo corretto inquadramento sin dalle prime fasi e imparare, quindi, a convivere con essa. Ne abbiamo parlato con il prof. Alessandro Armuzzi, Responsabile dell’Unità Operativa di Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali in Humanitas, co-direttore dell’IBD Center – Centro Medico Chirurgico per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’intestino e docente di Humanitas University.
Cos’è la Malattia di Crohn e come si manifesta?
"La Malattia di Crohn è caratterizzata da un’infiammazione cronica dell’intestino e può interessare la parete di tutto il tratto gastrointestinale, anche se nella maggior parte dei casi colpisce l’ultima parte dell’intestino tenue e il colon destro. L’infiammazione causa delle ulcere intestinali, che se non trattate adeguatamente, sul lungo periodo, possono portare a complicazioni come il formarsi di stenosi o fistole. I sintomi più frequenti della malattia sono dolori e crampi addominali, diarrea cronica, anche durante la notte, perdite di sangue misto alle feci e una febbricola persistente. A volte può esserci anche un calo di peso importante".
Come si diagnostica correttamente?
"Purtroppo, ad oggi, non esiste un test diagnostico specifico per la Malattia di Crohn ed è possibile arrivare ad una diagnosi certa solo collegando fra loro tutta una serie di informazioni. In genere viene eseguita una colonscopia con biopsie intestinali multiple, che serve a valutare la mucosa intestinale e, eventualmente, evidenziare gli aspetti tipici dell’infiammazione acuta e cronica. Quest’esame è centrale anche per il monitoraggio periodico dei pazienti affetti dalla malattia di Crohn. Nel percorso diagnostico si è dimostrata di grande aiuto anche la radiologia, con ecografie delle anse intestinali, TAC e risonanza magnetica. Spesso vengono anche prescritti esami di laboratorio, ad esempio l’emocromo o specifici esami delle feci, come la calprotectina fecale, utili a stimare il livello di infiammazione intestinale. Ricordiamo che la diagnosi precoce è essenziale per riuscire ad evitare complicazioni e permettere ai pazienti di tenere sotto controllo la malattia, continuando a condurre una vita regolare".
Per la malattia di Crohn non esiste cura, ma conviverci è possibile. Quali sono le novità in ambito terapeutico?
"La Malattia di Crohn viene generalmente tenuta sotto controllo con terapie farmacologiche. L’obiettivo di questi trattamenti è “spegnere” l’infiammazione intestinale causata dalla patologia, agendo sui meccanismi cellulari e molecolari dell’intestino e del sistema immunitario. Possiamo contare sia su farmaci tradizionali, come cortisonici e immunosoppressori, sia su farmaci di nuova generazione: i farmaci biologici. Potremmo definirli farmaci “intelligenti”, capaci di eliminare l’infiammazione in modo selettivo. La ricerca scientifica sta poi facendo passi avanti in questo campo, ad esempio, si stanno sperimentando farmaci in grado di bloccare contemporaneamente più citochine, cioè le molecole dell’infiammazione, in modo tale da controllarla in modo più esteso".
Quando, invece, è necessario ricorrere all’intervento chirurgico?
"Solitamente si sceglie di ricorrere all’intervento chirurgico nel momento in cui la malattia rischia di portare a delle complicazioni, come ad esempio la formazione di ascessi addominali o di fistole, oppure quando il paziente non risponde adeguatamente alla terapia farmacologica. Va però sottolineato che, nella Malattia di Crohn, la chirurgia non è risolutiva, infatti, la patologia può ripresentarsi anche nel punto stesso in cui è stato eseguito l’intervento. Il trattamento chirurgico dev’essere quindi inteso come una pratica complementare alla terapia farmacologica, che va ad agire sulla complicanza o sulla sua prevenzione e non sulla patologia in sé. Per questo è molto importante riferirsi a un Centro dedicato che abbia al suo interno tutti gli specialisti per accompagnare il percorso del paziente in ogni momento della vita. È anche importante sottolineare che oggi possiamo contare su tecniche chirurgiche mininvasive, che in alcuni casi ci permettono di risparmiare l’intestino e assicurare al paziente una pronta ripresa post-operatoria".