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Il medico consiglia... come curare lo scompenso cardiaco

A Tgcom24 la consulenza del cardiologo Michele Senni, direttore del Dipartimento Cardiovascolare del Papa Giovanni XXIII di Bergamo

07 Ott 2021 - 09:53
 © Tgcom24

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Lo scompenso cardiaco è una condizione in cui il cuore non riesce a pompare a sufficienza il sangue per rispondere alle necessità metaboliche ed energetiche dell’organismo. Il cuore è una pompa. Prima deve riempirsi, poi può iniettare il sangue in tutto il sistema vascolare. Se il cuore fa fatica a pompare, si verifica lo scompenso sistolico, oppure a funzione sistolica ridotta. Se al contrario il cuore pompa bene ma fa fatica a distendersi e quindi riempirsi parliamo di funzione sistolica preservata. Il cardiologo Michele Senni spiega a Tgcom24 come accorgersene e cosa fare.

Il primo segnale che deve farci “alzare le antenne” è la mancanza di respiro dopo gli sforzi, anche lievi. Per esempio salendo le scale. Oppure dopo un giro in bicicletta. Un altro segnale sospetto e da non sottovalutare è uno stato di gonfiore alle gambe o un aumento improvviso di peso. In questi casi è opportuno farsi visitare da uno specialista cardiologo.

Lo scompenso è una condizione molto frequente. Solo in Italia ne sono affetti circa 1 milione di persone, poco meno del 2% dell’intera popolazione. Metà di loro soffre di scompenso a funzione sistolica ridotta e l’altra metà a funzione sistolica preservata. In genere colpisce chi ha avuto una cardiopatia ischemica, un pregresso infarto, una patologia valvolare, cioè alla valvola mitrale o aortica. In altri casi la causa dello scompenso non è riconoscibile. Il muscolo non riesce a esercitare la sua funzione, cioè quella di pompare, ma non se ne conosce la causa, parliamo quindi in questo caso di forme “idiopatiche”. Uno su quattro di queste forme è su base familiare. Tra i pazienti scompensati, il 40% è affetto da diabete di tipo 2.

Fare diagnosi non è sempre facile. Alcuni segnali, come ad esempio l’affaticamento, spesso vengono sottovalutati o non vengono presi nella dovuta considerazione. Questo avviene in special modo nel caso dello scompenso con funzione sistolica preservata, che colpisce in gran parte la popolazione anziana e in molti casi anche le donne. Lo scompenso cardiaco è una condizione molto pericolosa. Purtroppo, in assenza di terapie risolutive, comporta serie disfunzioni dell’organismo. Tra i primi organi ad entrare in sofferenza per il minor afflusso di sangue c’è il rene. Poi i polmoni.

La prognosi è molto spesso infausta. Entro 5 anni dalla diagnosi, nel 50% dei casi si verifica la morte del paziente. Per questo lo scompenso cardiaco rientra a tutti gli effetti tra le malattie più letali in assoluto, un vero ‘big killer’. Rispetto a quella dei tumori, la prognosi dello scompenso cardiaco è la peggiore in assoluto, fatta eccezione solamente per il tumore al pancreas e quello al polmone. 

Le terapie farmacologiche esistenti per il trattamento dello scompenso cardiaco con funzione sistolica ridotta si basa su quattro pilastri. Le glifozine (SGLT-2 inibitori), i betabloccanti, gli ACE-inibitori ma soprattutto gli ARNI. Vengono poi utilizzati gli antialdosteronici. Oltre alle terapie farmacologiche, è possibile impiantare un defibrillatore, associato o meno al pacemaker di resincronizzazione, per pazienti con determinate caratteristiche elettrocardiografiche. Lo scompenso cardiaco con funzione sistolica preservata è invece purtroppo considerato da sempre “orfano” di terapie.

I risultati più convincenti sono emersi al termine di un grande studio clinico internazionale che di recente ha testato l’efficacia di empagliflozin. Questa molecola del gruppo delle empaglifozine, il cui principio attivo appartiene alla classe degli inibitori del trasportatore sodio-glucosio di tipo 2, offre buoni risultati nel ridurre del 21% il rischio combinato di morte o di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca. Per questo farmaco manca solo l’autorizzazione da parte di EMA e AIFA, le autorità regolatorie del farmaco, che speriamo possa arrivare il prima possibile. Evidenze meno forti riguardano gli ARNI. Appartiene a questa classe il Sacubitril/valsartan, un farmaco già indicato nello scompenso a funzione sistolica ridotta. Uno studio recente ne ha dimostrato l’efficacia nelle donne e nei pazienti con frazione di eiezione inferiore al 57% anche per lo scompenso a frazione preservata.

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