A Tgcom24 il contributo del professor Pierpaolo Sileri, direttore dell’Unità di Chirurgia Colorettale dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Ordinario di Chirurgia generale all’Università Vita-Salute San Raffaele
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Il rettocele rappresenta un indebolimento della parete esistente tra il retto e la vagina che quindi assume una forma di tasca di dimensioni variabili. Avere un rettocele non necessariamente significa avere stitichezza, ma quando in questa tasca giungono le feci durante la defecazione possono nascere difficoltà e la persona non riesce ad avere una evacuazione completa, può avere stimolo defecatorio senza riuscire a espellere completamente, può avvertire dolore, senso di peso perineale oltre che disturbi addominali. Abbiamo chiesto al professor Pierpaolo Sileri, direttore dell’Unità di Chirurgia Colorettale dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e Ordinario di Chirurgia generale all’Università Vita-Salute San Raffaele, come riconoscerlo e quali sono i trattamenti più innovativi per contrastarlo.
Cos’è il rettocele e quali sono i sintomi che ne indicano la presenza?
“Il rettocele è una condizione in cui il retto, l’ultima parte del nostro intestino, sporge verso la parete posteriore della vagina. Questo si verifica perché i tessuti che sostengono sia il retto che la vagina si indeboliscono, oppure vengono danneggiati, e causano questo rigonfiamento. I sintomi possono essere diversi e includono la difficoltà a svuotare completamente l’intestino, dolore e disagio pelvico, una sensazione di gonfiore o pressione all’altezza della vagina, dolore durante i rapporti sessuali, sintomi urinari. Sì può avere stimolo defecatorio senza riuscire a espellere completamente”.
Chi sono i soggetti a rischio per questo tipo di patologia? Qual è l’incidenza in Italia?
I soggetti più a rischio sono le donne solitamente dopo i 40 anni di età quando compaiono in sordina i primi sintomi e dopo i 50 diventano più evidenti. L’età rappresenta il fattore di rischio predominante e possiamo dire che un certo grado di rilassamento dei tessuti è probabilmente naturale. Numero di gravidanze, peso corporeo (sia il sovrappeso ma anche rapide e durature perdite di peso), sforzi fisici, eventuale asportazione dell’utero sono tutti fattori da tenere in considerazione. Chiaramente può esistere una predisposizione genetica. Anche una storia di stipsi cronica fin dalla giovanissima età può contribuire, a causa di uno sforzo continuo alla genesi del rettocele, peggiorando la stipsi stessa.
Come si diagnostica il rettocele? Qual è lo specialista adatto a cui rivolgersi per la diagnosi?
La diagnosi si effettua con una visita ginecologica ma, per capire se sono presenti altri difetti anatomici e quanto questa ‘tasca’ interferisca con la defecazione, è utile anche una visita dal chirurgo colorettale e un esame defecografico. La visita colorettale consente di raccogliere nel dettaglio tutte informazioni anamnestiche e di valutare la coesistenza di altri difetti anatomici del retto e del pavimento pelvico solitamente associati.
In cosa consiste la defecografia?
La defecografia o meglio una colpocistodefecografia oppure le defeco risonanza magnetica, è un esame radiologico dinamico, utilizzato per valutare il funzionamento e le eventuali alterazioni strutturali degli organi del pavimento pelvico durante le fasi di svuotamento (defecazione) e altre azioni fisiologiche. Attraverso utilizzo di mezzi di contrasto nel retto, nella vagina e nella vescica, consente di fornire quelle informazioni accessorie sui difetti anatomici coesistenti e quindi dell’entità dei prolassi e sulla presenza di cistocele, enterocele, colpocele, lassità del pavimento pelvico, incoordinazione muscolare. Questa accuratezza diagnostica consente quindi un trattamento quanto più personalizzato possibile.
Quali sono i trattamenti più innovativi e promettenti attualmente disponibili per il rettocele? Esistono terapie meno invasive rispetto alla chirurgia tradizionale?
Non sempre serve l’intervento chirurgico. Ad esempio se presente incoordinazione muscolare (dissinergia pelvica) il primo trattamento sarà la ginnastica riabilitativa. Se invece viene dimostrata la correlazione tra il difetto anatomico e la stipsi severa si procederà ad intervento. Se si tratta di prolasso rettale con rettocele e prolasso di altre strutture come ad esempio utero o vescica si deciderà per un intervento mininvasivo per via addominale, solitamente di sospensione delle strutture. Tali interventi vengono condotti nei centri di riferimento per via robotica con una precisione maggiore, minori complicanze e con un recupero estremamente veloce. Viceversa se avremo dinnanzi un semplice rettocele di piccole dimensioni si preferirà un intervento per via transanale che mira a rimuovere la tasca ed il prolasso.
Com’è il decorso post operatorio?
Il decorso post-operatorio varia in base al tipo di intervento (chirurgia tradizionale o mininvasiva) e alla gravità della condizione pre-esistente. Per interventi mininvasivi, il ricovero può durare 1-2 giorni. Per procedure più complesse, potrebbe essere necessario rimanere in ospedale più a lungo. Diciamo sempre ai nostri pazienti che è normale provare un po' di dolore o fastidio nella zona operata, controllabile però attraverso gli antidolorifici prescritti. Raccomandiamo sempre una dieta ricca di fibre e una buona idratazione per prevenire la stitichezza, che potrebbe mettere sotto stress la zona operata e consigliamo l’uso di lassativi leggeri o ammorbidenti per le feci. È importante evitare sforzi fisici intensi, come il sollevamento di pesi o attività che aumentino la pressione addominale per le successive 4-6 settimane. Fondamentale anche l'igiene della zona operata per prevenire infezioni. La maggior parte dei pazienti si riprende completamente entro 6-8 settimane, ma il tempo può variare da persona a persona. Di solito si consiglia di aspettare almeno 6/8 settimane prima di riprendere l'attività sessuale, ma è sempre meglio seguire le indicazioni del chirurgo ed effettuare i controlli programmati per monitorare la guarigione e discutere eventuali sintomi residui.
È risolutiva o è possibile che nel tempo ci siano recidive?
Sì, è possibile che si verifichino delle recidive del rettocele. Questo può dipendere da diversi fattori tra i quali la debolezza del pavimento pelvico (i tessuti fragili o fortemente compromessi possono predisporre a delle recidive); la stitichezza cronica, l’obesità, la tosse persistente o sforzi ripetuti (ad esempio, sollevamento pesi) possono aumentare il rischio. Se l'intervento chirurgico non corregge completamente il difetto o non considera altre condizioni concomitanti (ad esempio, cistocele o prolasso uterino), c'è un rischio maggiore di recidiva. Infine i cambiamenti legati all’età, l’indebolimento dei tessuti legati agli ormoni della menopausa, possono contribuire alla comparsa del problema. Le visite di controllo post intervento possono aiutare a monitorare la condizione e ci possono segnalare quando intervenire intervenire precocemente in caso manifestazione ancora dei sintomi.
C’è una relazione tra rettocele e altre disfunzioni del pavimento pelvico, come il prolasso uterino o l'incontinenza? Possono presentarsi insieme?
Sì, esiste una correlazione tra il rettocele e altre disfunzioni del pavimento pelvico, come per esempio il prolasso uterino, il cistocele (prolasso della vescica) e l'incontinenza urinaria o fecale. Queste condizioni possono presentarsi contemporaneamente, poiché condividono una causa comune: il cedimento o l'indebolimento del pavimento pelvico. Quando questa struttura si indebolisce, possono verificarsi più tipi di prolasso contemporaneamente. Come detto le cause possono essere il parto vaginale, gli sforzi cronici, l’obesità, la tosse persistente, la stitichezza, l’invecchiamento e la menopausa
Esistono accorgimenti nello stile di vita o esercizi specifici che possono aiutare a prevenire o rallentare la progressione del rettocele, soprattutto per le donne dopo il parto?
Certamente, esistono degli esercizi per rafforzare i muscoli pelvici e ridurre la probabilità di recidive. Inoltre gestire la stitichezza con dieta ricca di fibre, mantenere un peso corporeo sano e limitare gli sforzi fisici intensi, possono contribuire al rallentare la comparsa della condizione patologica.