A Tgcom24 Sergio Berti, Direttore UOC Cardiologia Diagnostica ed Interventistica Ospedale del Cuore Massa e Area della Ricerca C.N.R. Pisa Fondazione Monasterio: "Un intervento mini-invasivo elimina per sempre il trattamento con anticoagulanti in quei pazienti considerati ad alto rischio di ictus o emorragie, per i quali la terapia farmacologica sia risultata inefficace o controindicata"
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La fibrillazione atriale è una delle aritmie più frequenti e aumenta con l’avanzare dell’età. Il rischio principale legato a questa patologia è l’ictus ischemico celebrale, un evento particolarmente grave. Poichè durante la fibrillazione atriale l’atrio di sinistra del cuore perde la sua capacità di contrarsi e al suo interno, nell’auricola, il sangue ristagna formando dei coaguli che, se raggiungono il flusso sanguigno, possono arrivare al cervello e causare un ictus, il modo migliore per ridurre questo rischio di eventi ischemici cerebrali è utilizzare un farmaco anticoagulante, una terapia di facile utilizzo e tollerabilità da parte del paziente, che ha segnato una vera svolta nella storia naturale della malattia. Purtroppo ad oggi all’incirca il 30% dei pazienti non può assumere il farmaco. Come ci spiega il Prof. Sergio Berti, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia Diagnostica ed Interventistica dell’Ospedale del Cuore Massa e della medesima Unità presso l’Area della Ricerca CNR di Pisa “negli ultimi 15 anni si è quindi sviluppata una strategia interventistica che consiste nel chiudere l’auricola sinistra in modo da bloccare all’interno gli eventuali coaguli di sangue, impedendo ai trombi di arrivare al cervello e riducendo così l’evento ischemico di circa il 70-80%, con lo stesso effetto dell’anticoagulante”.
Professore, come avviene il trattamento di chiusura dell’auricola sinistra?
“L’intervento, mini invasivo, consiste nel posizionare all’imbocco dell’auricola un dispositivo che arriva al cuore pungendo la vena femorale con un catetere sottile, di circa 3-4 mm, attraverso cui si fa passare un dispositivo per l’occlusione. La procedura dura all’incirca un’ora, solitamente in anestesia totale ma in alcuni Centri, come il nostro, può essere fatta anche in locale. Il giorno dopo l’intervento il paziente può essere dimesso e non assumere mai più l’anticoagulante ma, al tempo stesso, essere protetto dal rischio di ictus e di emorragie. Si tratta dunque di un trattamento risolutivo e definitivo”.
Quali sono i dispositivi che il Cardiologo Interventista ha a sua disposizione oggi per intervenire?
“Il dispositivo che si utilizza in questo tipo di intervento è una sorta di ombrellino, delle dimensioni di circa 2 cm, fatto in mitinolo, un metallo estremamente flessibile, elastico ed assolutamente biocompatibile, che può essere compresso all’interno del catetere e, una volta arrivato al cuore, riaprirsi riprendendo la sua forma originale e posizionarsi correttamente. Il dispositivo è dotato di un sistema di controllo, per cui può spostato finché non si trova la posizione esatta. Una volta inserito nel cuore, non necessita più di alcuna “manutenzione” perché, come accade anche per altre protesi, viene rivestito dal tessuto circostante, integrandosi perfettamente con l’organo”.
Chi sono i pazienti che possono trarre beneficio da questo intervento?
“Il trattamento è indicato per tutti quei pazienti che non possono assumere la terapia anticoagulante o perché non la tollerano o perché hanno avuto problemi di sanguinamento e quindi sono a forte rischio di eventi ischemici o emorragici. È bene sottolineare che, a differenza di quanto si pensi, l’utilizzo di un antiaggregante, come ad esempio l’aspirina, non protegge da questo tipo di evento ischemico se non in misura davvero minima (circa al 20%)”.
Quali innovazioni tecnologiche possono ottimizzare il trattamento di chiusura dell’auricola sinistra?
“Gli attuali dispositivi sono già in una fascia molto alta da un punto di vista dello sviluppo tecnologico. Un grande passo avanti è stata sicuramente la possibilità di poter eseguire l’intervento in anestesia locale, utilizzando delle sonde ecocardiografiche speciali che si inseriscono, sempre tramite un catetere molto sottile, all’interno del cuore e consentono di monitorizzare l’intervento dall’interno, riducendo di molto l’impatto chirurgico. A mio avviso, le innovazioni future riguarderanno, invece, soprattutto le tecniche di imaging diagnostico per consentirci di studiare sempre meglio la forma dell’auricola: oggi purtroppo, infatti, questa struttura all’interno del cuore ha un’ampissima variabilità, che cambia da soggetto a soggetto e richiede quindi uno studio molto attento prima dell’intervento, per ridurre la possibilità che questa non possa essere chiusa, cosa che accade nell’1-2% dei casi”.