Realizzando i progetti di welfare aziendale, e interagendo con altri soggetti, le imprese contribuiscono a rafforzare la coesione tra le comunità e le persone che ne fanno parte
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È stato in questi giorni pubblicato sul portale delle piccole e medie imprese italiane il 4° Rapporto “Welfare Index PMI”2019 promosso da Generali, con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato, ConfProfessioni e con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio. Già dal titolo della Ricerca – “Il welfare aziendale fa crescere l’impresa e fa bene al Paese- e dalla prefazione del Ceo Marco Sesana oltre che dall’introduzione a cura del Comitato Guida, si evincono i tratti più significativi e peculiari dell’analisi sullo stato del welfare aziendale, che ha coinvolto nell’indagine 4500 piccole e medie imprese del Paese, con una crescita nel triennio 2016/2019 dal 7,2 al 19,6 delle aziende attive nel settore del welfare.
A partire dai soggetti interessati: l’imprenditore, i lavoratori (e per indotto i loro familiari), lo Stato, le istituzioni locali, le associazioni dei diversi stakeholder, coinvolti nell’intento di fare sistema, con benefici tangibili e condivisibili, nell’ottica di un salto di qualità culturale che promuova il welfare aziendale come “bene comune”, fattore di leva e di crescita nella linea dell’umanizzazione dell’impresa e del benessere.
Il welfare aziendale va oltre il concetto di welfare integrativo, basato su una contrattazione nazionale di massima orientata ai fondi pensione e alla sanità complementare: “È qualcosa di molto più ampio tanto nella platea quanto nell’oggetto delle prestazioni, si rivolge a intere popolazioni aziendali e alle loro famiglie, su un range vastissimo di bisogni”.
L’aspetto più noto del welfare aziendale è la sua capacità di apportare risorse aggiuntive alla spesa sociale pubblica e privata, e di contribuire alla diffusione nel territorio di servizi e di facilitazioni all’accesso che altrimenti non sarebbero disponibili. Ma, accanto a questo, esiste un altro aspetto di grande valore soprattutto in un’epoca di frammentazione sociale e di isolamento.
Realizzando i progetti di welfare aziendale, e interagendo con altri soggetti, le imprese contribuiscono a rafforzare la coesione tra le comunità e le persone che ne fanno parte. E anche questo è un fattore di protezione e benessere. La struttura portante del sistema PMI considera 750 imprese con più di mille addetti, 652 mila da 6 a mille addetti (di cui 620 inferiori ai 50 addetti per azienda), fino alle 5,2 milioni di imprese individuali con meno di 6 addetti.
Significativamente si evidenzia una crescita della consapevolezza degli obiettivi sociali dell’impresa: ad esempio tra le aziende molto attive questa cultura del benessere dei dipendenti raggiunge – nella proprietà e nel management – un incremento del 63,9% dal 2016 al 2019. Tutela della salute, sanità complementare, assistenza ai familiari anziani e ai bambini, flessibilità dell’orario di lavoro, misure a sostegno della genitorialità, supporti economici per l’abbattimento dei costi di trasporto per recarsi al lavoro, formazione professionale ed extra-professionale, vigilanza e istruzione per i figli, contributi per le rette scolastiche, attività educative e ludico ricreative, conciliazione vita/lavoro con sostegni alla genitorialità.
Scorrendo le oltre 100 pagine del ricco e interessante Rapporto si deduce quanto sia esponenzialmente crescente nelle PMI l’introduzione di strategie di welfare aziendale che incidono in maniera tangibile e documentata al benessere dei lavoratori e alla produttività delle imprese.