TELEBESTIARIO di Francesco Specchia
© ufficio-stampa
"Sarà uno studio immerso nelle parole ma essenziale...", anticipa Giovanni Floris, in sottile gioco d'anteprime spalmaascolto. E - aggiungerei io - col disperato bisogno d'una bombola d'ossigeno, data la mole di notizie del giorno mitragliate col taglio d'approfondimento, alla Mentana maniera. Così si presenta diciannovequaranta (o 19.40?) l'appetizer informativo, la striscia quotidiana (dal lunedì al venerdì) con cui Floris ha riempito l'unico pertugio libero del palinsesto de La7, a fare teoricamente da traino al TgLa7.
E "Diciannovequaranta" è in realtà una sorta di "Ballarò" pillolizzato, con il conduttore incastrato a mezzobusto dietro una scrivania circondata da numeri e parole a intrecciare una giostra grafica, roba che mi evoca sia "Matrix" (il film, non il programma) sia "Num3r1", sottovalutata trasmissione di data journalism già condotta da Marco Cobianchi su Raidue. Floris è sempre Floris, a onor del vero. Stessa velocità, stesse intuzioni (i concetti bignamizzati in sovrimpressione, i sondaggi dell'ineffabile Pagnoncelli, la lavagna luminosa che sostituisce gli specchietti sulla carta da pacchi lasciata a Raitre), stessi ospiti. Ospiti stavolta non in studio ma richiamati da uno speech giornalistico intramezzato da domande. Floris si chiede: "Il linguaggio di Renzi è diretto? Sentiamolo alla festa dell'Unità", e parte il video del premier simpaticamente logorroico tra le piadine. Ritorno in studio. Giovanni si richiede: "Domandiamoci Renzi è o non è un populista, sentiamo il filosofo Maffettone"; ed ecco il filosofo Maffettone costretto in un'operazione di sintesi antropologica assai affannata. Ancora studio, ancora Floris: "Il problema non è se Renzi sia o non populista, ma quanto lo sia". "Il premier fa o non fa troppi annunci?", sentiamo Pagnoncelli. E vai con la sarabanda pagnoncellesca di cartelli intrisi di percentuali e statistiche. Lo schema è questo. Notizia, domanda, risposta-Pic Indolor preregistrata degli ospiti che s'alternano a velocità folle: i giornalisti Antonio Polito e Sebastano Messina, il dimenticato viceministro montiano Michel Martone, Pagnoncelli che chiude il cerchio sparando cifre.
Si accenna anche dello sciopero delle Forze Armate, della recessione, delle riforme economiche. Un unico afflato narrativo; è come se si sfogliasse velocemente il giornale e si leggesse solo titoli e catenaccio.
L'unico ospite che dialoga davvero - sempre in collegamento, ma in diretta - con Floris, sebbene sul filo del fuorigioco verbale, è il leader Cgil Susanna Camusso, la quale si trova sbatacchiata fra quesiti impopolari ("la gente considera il sindacato un intracio?") e la tensione alla compressione dei tempi di Floris stesso. Però, poi, la sindacalista trova il tempo di annunciare la mobilitazione generale contro il governo. E anche di proporre "noi stessi una modifica allo Statuto dei lavoratori". Nonché di affermare che lei vota sempre Pd e che Renzi non "sarebbe un buon sindacalista, perché non ama i lavoratori...", con sorriso di Floris a chiosa. Si finisce con la citazione di un filosofo cinese di cui mi sfugge sia la citazione che il filosofo. L'impressione è che il programma sia in formazione. L'abilità tecnica di Floris è indubbia. Ma, per ora c'è troppa carne al fuoco, troppi temi, troppi ospiti di cui finisci per non ricordarti verbo e faccia. In 20 minuti devi saper controllare il respiro, e indirizzarlo. Sennò uno sembra il Maccio Capatonda di Mario, la straordinaria parodia del tg su Mtv...