L'editoriale del Direttore

La verità sui vaccini: sono troppo pochi

L'editoriale su "Il Giornale" del direttore di Tgcom24 Paolo Liguori

17 Gen 2021 - 12:00
"Le poltrone di Alfano": l'editoriale di Paolo Liguori

"Le poltrone di Alfano": l'editoriale di Paolo Liguori

Quando si torna alla politica-politicante, l’esperienza ha il suo peso. Così i nipotini di Rousseau, che volevano rivoluzionare la rappresentanza istituzionale, sono finiti a bussare alla porta di Clemente Mastella, che li avverte giustamente “siamo responsabili, mica fessi”. C’è qualcosa di grottesco in questo pubblico affannarsi a indicare l’emergenza, a parlare della priorità della salute, mentre l’attività principale è la ricerca dei voti più insospettabili, per sorreggere un governo precario e inadeguato. Il paradosso sta nel fatto che l’emergenza c’è davvero e riguarda in tutto il mondo il tema dei vaccini.

Abbiamo deciso in Europa una vaccinazione di massa, per contrastare la pandemia, ma c’è un particolare che non viene abbastanza sottolineato: al momento attuale, i vaccini per tutti non ci sono. Almeno, non sono sufficienti e tempestivi in prospettiva, per condurre rapidamente una vaccinazione europea di massa.

L’Italia è il Paese europeo che ha vaccinato di più, con un milione di persone, ma gli individui sopra i 16 anni (per quelli più giovani, l’antiCovid non è stato sperimentato) sono circa 51 milioni. È di ieri la notizia che la Pfizer ha annunciato che ridurrà del 30 per cento circa la sua fornitura. Il vaccino Moderna, appena approvato, non è disponibile in dosi massicce, il terzo vaccino, Astra Zeneca, che l’Italia ha prenotato in modo massiccio, sarà approvato dalla competente commissione alla fine di gennaio.

Colpa di Arcuri? Ma no, è proprio lui che ha denunciato la defezione di Pfizer. Ci sono altre aziende, anche italiane, che si stanno muovendo, ma uno dei problemi sta proprio nella gestione privatistica dei vaccini.

In Israele, dove la vaccinazione procede rapida, hanno deciso diversamente: lo Stato ha acquisito un brevetto del vaccino antiCovid, lo produce in proprio e lo distribuisce attraverso la collaborazione di quattro società di assicurazione, semiprivate, ma con la partecipazione pubblica. Non si poteva fare anche in Europa e in Italia? È la politica, in questi casi, che guida e rafforza le decisioni, non quella del teatrino parlamentare, alla ricerca di una maggioranza, ma la capacità di previsione e l’autorevolezza nel difendere gli interessi del Paese.

Oggi c’è il problema di capire che cosa succede nel “dopoguerra” del Covid, perché di questo si tratta e da mesi in Italia si evita di discutere, capire e scegliere da che parte stare, come altre volte ci è capitato nelle guerre.

Ci sarà chi è convinto che il parallelo con una guerra sia esagerato, siamo dispostissimi a cambiare definizione: è in atto un confronto tra Occidente e Oriente, tra sistemi politici e sociali ispirati da più di duecento anni a principi di libertà e sistemi totalitari e dittatoriali. È un confronto duro, senza esclusione di colpi, annunciato da tempo e la pandemia è stato il detonatore.

Il tema dei vaccini, in questo contesto è un campo di battaglia, economico e diplomatico. Ieri il Dipartimento di Stato Usa ha tolto il segreto dai documenti riservati che riguardano i laboratori cinesi di Wuhan, dove tutto ebbe origine. Secondo questi documenti, alcuni ricercatori di Wuhan si sarebbero ammalati molto prima dell’annuncio ufficiale del virus, ma “l’ossessione della segretezza” del Partito Comunista Cinese impose il silenzio per settimane. I documenti non sono in grado di dimostrare che il virus proviene da un laboratorio, ma non lo escludono: affermano con certezza che ci sono stati in passato altri incidenti minori con virus Sars e sottolineano che i ricercatori lavorano anche per esperimenti militari.

La sfida, dunque, è aperta e prosegue sul terreno dei vaccini, perché chi ha avuto a portata di mano dall’inizio il veleno è in vantaggio anche sull’antidoto. I tre vaccini cinesi sono diventati anche una grande potenza attrattiva per la penetrazione economica. Uno è stato destinato soprattutto in Oriente, dove è nata anche una grande alleanza di cooperazione economica; un secondo è partito per l’Africa, dove viene prodotto su licenza (ad esempio, in Marocco) ed è l’asse centrale di un nuovo Mercato Comune tra Cina e Paesi africani, il cui indebitamento con Pechino è coperto da concessioni di vario genere. Il terzo vaccino viaggia già in Sudamerica, in Perù, ed è notizia di oggi che l’Ungheria, convinta sovranista, lo acquisterà.

L’Europa sta a guardare e la Francia di Macron rallenta la distribuzione di Pfizer, convinti che sia opportuno prendere tempo in attesa del vaccino francese Sanofi. Se non bastasse questa pericolosa divisione di comportamenti, c’è il caso Gran Bretagna, che distribuisce il vaccino in modo anomalo, puntando soprattutto sulla prima fase e, in qualche caso, mescolando le tipologie per la seconda.

Vogliamo aggiungere che gli Stati Uniti sembrano ancora paralizzati dallo shock della loro politica interna? The World ha titolato una sua inchiesta: la diplomazia dei vaccini cinesi riempie il vuoto lasciato dal nazionalismo dei vaccini degli Stati Uniti.

Come si vede, il rischio è grande, a meno che non ci sia qualcuno che pensi di rovesciare il fronte delle Alleanze senza conseguenze. E non quelle tragicomiche tra Conte e Renzi, ma tra Biden, la Merkel, Macron e Xi Jinping. Ecco, la politica italiana dovrebbe occuparsi di questi scenari, perché se riusciremo a vaccinare Enna e non Parigi, o Milano, o Francoforte, il pericolo sarà sempre dietro l’angolo.

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