Più dei 28 trofei, tre grandi meriti: il calcio di Sacchi, la strategia comunicativa e i grandi investimenti. Ma ora servono nuove idee
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Un mucchio di pezzi di carta e la storia del calcio, non solo quella di un club, è cambiata. Quando, il 20 febbraio 1986, i rappresentanti del gruppo Fininvest vennero finalmente in possesso del pacco di azioni di maggioranza del Milan già di proprietà di Giussy Farina e sequestrate per conto del suo principale creditore, il vicepresidente Gianni Nardi, è cominciata davvero la storia di un'altra società. L'A.C. Milan 1986, verrebbe da chiamarla, il logo può essere anche il medesimo di quello glorioso è irrinunciabile della tradizione, ma in dissolvenza presenta anche un volto, quello di Silvio Berlusconi, capace di passare in meno di un anno e mezzo dalle parole ai fatti e consegnare a tutto il mondo del pallone un nuovo tipo di modello, in campo e fuori.
La disponibilità economica dell'epoca, certo; ma quante volte - anche nell'oggi, territorio degli investimenti smodati dei nuovi ricchi extraeuropei - abbiamo osservato come portafoglio pieno corrispondesse a poche soddisfazioni e ancora meno idee, progetti, filosofie. Alle spalle di 28 trofei (e 8 sono titoli europei o mondiali), la vera vittoria di Berlusconi e della sua gestione è quella di essere portato a esempio di organizzazione, di qualità, persino di "famiglia" dalla genie di calciatori e tecnici che vi hanno militato, anche per poco, in questi 30 lunghi anni. Stare nel Milan, anche in stagioni non troppo felici come le ultime, è bello, andarsene è difficile: vedere un duro e un apparente occasionale (un anno e mezzo) come il "generale" Mark Van Bommel piangere come un esordiente il giorno del congedo da Milanello spiega molte cose di quello che questo club rappresenta innanzitutto per chi lo vive dal di dentro.
Al di fuori, invece, almeno tre cose che al Diavolo made in Biscione (Fininvest eh? Non interista, ci mancherebbe) dovranno essere imperituramente riconosciute. La prima, senza discussione, è la rivoluzionaria, quasi utopica scelta di Arrigo Sacchi e della creazione di una squadra che sarebbe stata fortissima in ogni caso, ma che mai avrebbe cercato e trovato una formula mai vista prima sui nostri campi e forse - con l'unica eccezione della grande Olanda di Cruyff - nemmeno su quelli degli altri. "Padroni del campo e del giuoco", dice ancora oggidì suscitando qualche ironia Berlusconi: ha ancora negli occhi quel team straordinario, che ha creato una vera scuola di pensiero tra tecnici e appassionati delle nuove generazioni. La seconda è quella di avere proposto e spinto per un calcio più moderno nell'organizzazione, nei calendari, nella comunicazione: tutto in funzione della televisione, guarda caso, ma alzi la mano chi oggi farebbe a meno di questa Champions League, di partite al sabato sera piuttosto che nei martedì europei. Già nel 1986, Berlusconi parlava di Superlega, di una sorta di Nba europea del pallone disputata dai grandi club. Lo stanno capendo, a quanto pare.
E infine il mercato, i grandi investimenti. Un cambio non necessariamente accompagnato da soli elementi positivi, è chiaro: ma il "push" dato dal Cavaliere sul pulsante economico ha alzato per la prima volta l'asticella delle quotazioni dei piedi che contavano, lanciando una concorrenza vera e indirettamente creando una nuova specie di passione tra i calciofili. E fino a prova contraria, sono stati poi altri, in Italia e fuori, a perdere il controllo. Proprio di non essere più in grado di competere a livello di soldi si imputa a Berlusconi, 30 anni dopo il suo avvento su un campo di calcio: la risposta, come é noto, è la ricerca finora incompiuta di un partner che assicuri fondi freschi e e che consenta alla famiglia e all'attuale dirigenza rossonera di mantenere ancora la barra del timone. Impresa difficile, ma ancora più difficile è poi riverniciarsi di fresco dopo tre decenni, che nel calcio - molto più che nella vita reale - sono una sorta di era mesozoica. E non è tanto - anzi - una questione di proprietà: a 120 km da San Siro, la famiglia Agnelli va per i 93 anni di matrimonio con l'amata Madama Juventus. Ma rinnovarsi è obbligatorio: anche il calcio creato da Berlusconi si è evoluto (o involuto?) ed è necessario aggiornarsi negli uomini e nei progetti.
L' A.C. Milan 1986 festeggia come è giusto un compleanno favoloso, merita un riconoscimento da parte di tutti, nessuno escluso: il regalo che può fargli il suo papà è quello di un reset, di una nuova, grande onda di entusiasmo, idee, centralità del progetto, di imprenditoria legata al pallone così come nei fatti è stato all'inizio. La prodigalità (mai mancata) non serve più a nulla se fine a se stessa. Così, forse, il club che ha cambiato il mondo del pallone potrebbe riprendere la sua corsa, rimanere nel posto che stramerita. L'alternativa è la nascita, prima o poi, di un terzo Milan, chissà in che lingua, chissà con quali volti. Non c'è fretta, pensandoci bene.