Come è giusto che sia, dopo la catastrofe sismica, è scattato l’appello alla solidarietà. Ma stavolta c’è qualcosa che stride nelle richieste che arrivano dallo stato centrale (Protezione Civile) e dagli enti locali (Regioni). La solidarietà ha un perimetro “obbligatorio”: mandateci solo soldi. Niente cibo, niente vestiti, niente medicine, niente scatolette per animali (perché ci sono anche loro tra i terremotati). Niente colonne d’aiuti un po’ raffazzonati, com’è poi nello spirito italico. Non si vogliono nemmeno volontari per dare una mano a meno che non siano inquadrati in quella selva di sigle che proprio del volontariato hanno fatto un business (contributi, detrazioni, agevolazioni, ecc). Perché questi ultimi –si sostiene- sono addestrati a fare: chi è spinto invece solo da un moto di genuino altruismo sarebbe solo d’impiccio. Certo.
Eppure furono proprio i ragazzi della fine degli anni 40 (ventenni o poco meno) a salvare nel ’66 grandissima parte del patrimonio culturale italiano dopo l’alluvione di Firenze. Gli Angeli del fango li chiamarono. Perché se uno vuole aiutare, qualcosa da fare glielo trovi sempre. Gli fai lavare i piatti, lo metti in una catena umana a portar via macerie, lo mandi a zonzo nelle campagne per un controllo capillare di danni e della viabilità, solo per fare qualche esempio. Sembra quasi che “l’Italia del cuore” sia una reietta. No. Soldi, solo soldi. 2 euro con gli sms solidali o donazioni con bonifico su un conto corrente dall’IBAN interminabile. E poi? Tranquilli, dice la Protezione Civile, i fondi raccolti li gireremo direttamente alle regioni interessate. Bella garanzia!!
Insomma che pena uno stato che ci massacra quotidianamente di tasse e balzelli e che nell’emergenza non dispone di un “castelletto” in banca -come ogni buon padre di famiglia- per affrontare prevedibilissimi “imprevisti”invece di elemosinare in giro due euro qui due euro là, proprio come i poveri davanti alle chiese. Richiesteche credo proprio non convincano la maggior parte degli Italiani che di questo Stato si fidano sempre meno. Per esempio le accise sulla benzina. Tra le altre catastrofi ed emergenze ad ogni pieno paghiamo ancora la guerra in Abissinia (1935), la crisi del canale di Suez (1956), il disastro del Vajont (1963), varie missioni militari finite da tempo, il contratto degli autoferrotranvieri del 2004, l’acquisto di autobus ecologici (e qui ci sarebbe da ridere per non piangere!). E ne abbiamo saltate sicuramente qualcuna altrettanto risibile.
In realtà tutte queste tasse di scopo, di scopo non sono più. Perché quelle emergenze sono finite da tempo, mentre i relativi balzelli restano. Proposta: il governo li accorpi tuttisotto un’unica voce, Emergenze Italia. Se lo stato resisterà alla tentazione di farne un uso improprio e distorto (come fa oggi!), in qualche decina d’anni avremmo risolto l’emergenza sismica e quella idrogeologica. E gli italiani pagherebbero assai più volentieri il pieno delle proprie auto.