L'intervista a Ermanna Montanari ed Enrico Pitozzi per "Fino ai limiti dell'impossibile. La ricerca vocale di Demetrio Stratos 1970-1979 - Secondo movimento"
di Giancarlo Bastianelli© Roberto Masotti, Archivio LellieMasotti
"Fino ai limiti dell'impossibile. La ricerca vocale di Demetrio Stratos 1970-1979 - Secondo movimento". Questo il titolo della mostra dedicata al leggendario performer originario di Alessandria D'Egitto, curata da Ermanna Montanari ed Enrico Pitozzi, allestita presso Palazzo Malagola, sede dell'Archivio Demetrio Stratos e del centro internazionale di ricerca vocale e sonora Malagola. Sarà visitabile fino al 31 gennaio 2025. Fra materiali inediti, documenti audio e video, foto, manifesti, rarità e memorabilia, una nuova preziosa tappa nel percorso di conservazione e valorizzazione di un patrimonio documentale di inestimabile valore riguardante una delle figure più importanti nel campo delle arti performative del Novecento, che ha fatto della ricerca sulla vocalità il tratto distintivo del proprio percorso artistico.
"Fino ai limiti dell’impossibile. La ricerca vocale di Demetrio Stratos 1970-1979. Secondo movimento" è curata dall’artista e co-fondatrice delle Albe Ermanna Montanari e dal docente e studioso Enrico Pitozzi – entrambi ideatori e direttori artistici del Centro internazionale di ricerca vocale e sonora denominato Malagola, con sede a Ravenna – che presenta una selezione di materiali dell’Archivio Demetrio Stratos, acquisito alla fine del 2022 dal Comune di Ravenna, con co-finanziamento della Regione Emilia-Romagna, direttamente dalla vedova Stratos Daniela Ronconi Demetriou e che proprio a Malagola ha trovato la sede ideale per la sua cura e la sua fruizione.
Montanari, Pitozzi, con quale scopo nasce la mostra "Fino ai limiti dell'impossibile"?
L’acquisizione dell’Archivio Demetrio Stratos, da parte di Malagola, non è stato qualcosa di premeditato; si tratta di un processo che è ‘felicemente precipitato’ all’interno di questo Centro di ricerca sulla voce e sul suono e quindi lo scopo era anche quello di fare intravedere una radice di questa Scuola di vocalità e centro internazionale di studi sulla voce, che ha sede a Ravenna. Demetrio Stratos è un corpo poetico della ricerca vocale, è un poeta: la sua figura è stata qualcosa che travalica un semplice percorso strumentale della voce e del suono e quindi, in questa logica, abbiamo pensato che fosse necessario condividere con altri, all’esterno, la prospettiva data dall’opera e dalla ricerca di Demetrio Stratos programmandola in due tempi. Lo scorso anno abbiamo messo a disposizione la prima parte dei materiali dell’Archivio, sottolineando la relazione profonda con John Cage, mentre quest’anno, con il secondo movimento, abbiamo inteso mettere l’accento sulle polarità di quel rapporto. Questo significa che da un lato abbiamo approfondito la ricerca della forma prelinguistica, dall’altro abbiamo valorizzato l’incontro con le tradizioni vocali del Mediterraneo, a partire dalla Grecia per estendersi fino alla Mongolia. L’obiettivo era quindi quello di mettere in evidenza una diversa traiettoria, anche estetica, rispetto a ciò che accade al nostro contemporaneo e mostrare come Stratos, nella sua ricerca, sia ancora capace di indicarci il futuro e quello che può accadere di fronte alle macerie di oggi.
Potete tracciare un bilancio della risposta del pubblico?
La risposta è stata alta: le persone sono arrivate in questo luogo da tantissime parti d’Italia per trascorrervi parecchio tempo. L’intero impianto richiede, se lo si vuole, ore di attraversamento, ma ovviamente lo si può frequentare anche in maniera più superficiale. Il fatto che qualcuno si sposti, come fosse un piccolo pellegrinaggio, per confrontarsi con una voce che qui diventa corpo architettonico, è stato per noi una grande gratificazione. Abbiamo allestito una sala immersiva per fare ascoltare i passaggi più salienti della ricerca vocale di Stratos, dai respiri che si moltiplicano e diventano una sorta di viaggi sonori fino agli ascolti di Artaud, e tutti coloro che sono passati da qui si sono presi del tempo per andare in profondità. Riteniamo che questa sia una buona indicazione per capire da dove ripartire al fine di ricostruire un’esperienza museale, ovvero di luoghi in cui la fruizione è ormai solo intermittente ed estemporanea. Qui c’è un tempo che ci si riserva e si destina all’ascolto, all’esperienza, al viaggio, che sono poi gli argomenti che ritroviamo nel lavoro di Stratos; in un qualche modo, quindi, è come se le persone incorporassero quella pratica riportandola anche a una memoria. Malagola non è un luogo espositivo, ma uno spazio di lavoro e di ricerca. In questi mesi abbiamo notato che non c’è mai stato uno spettatore disattento, o di passaggio, e forse questo dipende anche dalla qualità del luogo, che ha una precisa connotazione di trasmissione. Questo emerge anche da quello che scrivono gli spettatori quando se ne vanno e che dicono di essere rimasti a meditare nella sala immersiva. Abbiamo inoltre notato che l’esposizione è frequentata anche da chi normalmente non va alle mostre, e questo ci riporta alla natura ibrida del luogo; c’è una sorta di ‘segretezza’, di invito alla scoperta che, se vogliamo, appartiene a Ravenna, all’oro delle sue chiese che da fuori non traspare e che anzi è nascosto dagli edifici. Al loro interno si apre un qualcosa che sfugge, ma che risorge ogni volta che si rivela.
Novità importanti su Demetrio Stratos anche sul fronte bibliografico
Nei prossimi mesi uscirà il libro di Enrico Pitozzi – dal titolo: "Pneuma. La ricerca vocale di Demetrio Stratos" per i tipi di Sigaretten Edizioni Grafiche - che analizza la ricerca vocale di Demetrio Stratos. Il libro - osserva il docente - approfondirà le questioni che riguardano il percorso della mostra, indagherò come la relazione tra voce, suono e parola non siano sovrapponibili ma, anzi, comportino uno scarto. Stratos torna a questa dimensione originaria, situandosi ai limiti del linguaggio: non esiste qualcosa di preesistente che il linguaggio nomina, ma esiste qualcosa che accade nel momento in cui si costruiscono i presupposti del linguaggio. È lì che diventa interessante stabilire una relazione con Artaud e con chi, nel Novecento, ha sviluppato questo percorso anche in ambiti diversi, partendo però dalla necessità comune di ricostruire una parola prima della parola. Mi interessava mettere in evidenza il gesto ‘politico’ di Stratos, che ci parla ancora oggi.
Quale la risposta delle nuove generazioni al "messaggio" di Demetrio Stratos?
Stratos è una figura pressoché sconosciuta ai più giovani, o perlomeno è nota solo alle nuove generazioni che lo hanno incontrato negli ascolti familiari. Di sicuro non è un personaggio di dominio pubblico e la dimensione della riscoperta che questa mostra comporta permette anche di individuare una qualità diversa del suono e della musica. Questo è interessante perché fa ‘impallidire’ quello che ascoltiamo oggi e riteniamo sia importante, per un giovane, scoprire la ‘scala’ delle cose, che non è gerarchica, ma qualitativa. È interessante perché può scatenare reazioni sconosciute, in quanto permette di liberarsi dai vincoli che imponiamo alla voce, scardinando quei puntelli che infliggiamo a noi stessi perché pensiamo di dover rispondere a qualcosa che viene dall’esterno, invece che dall’interno. Quell’eredità ‘incandescente’ in mano a ragazzi di vent’anni, che quindi avvertono la necessità di rompere gli schemi, offre un punto da seguire, ‘rompendo’ a un’altezza qualitativamente inarrivabile. I limiti, nella ricerca di Demetrio Stratos, rappresentano una dimensione, uno spazio possibile di status, di postura, un ‘agire’ all’interno della società.
Pensate di poter rendere permanente la mostra?
Non sarebbe giusto alla luce di quanto detto sopra; il tutto perderebbe di senso. La mostra ha un ritmo diverso rispetto, ad esempio, alla fruizione dell’Archivio, che invece avrà altre tempistiche e modalità; questa esposizione, di per sé, rappresenta una sorta di ‘apnea’ da cui, a un certo punto, si risale. Una mostra implica il fatto che la si possa perdere, porta con sé una sorta di malinconia, mette in moto un meccanismo di ricerca: diversamente, significherebbe ricadere in una logica del tutto disponibile che a noi non interessa.