L'editoriale del direttore di Tgcom24 Paolo Liguori su "Il Giornale"
Rouen, Liguori: "Colpito un simbolo delle nostre radici cristiane"
"Un Procuratore della Repubblica in gamba, se ha nel suo ufficio un paio di aggiunti o sostituti svegli, un bravo ufficiale di polizia giudiziaria ammanicato con i servizi segreti e rapporti con giornalisti di testate importanti e soprattutto rapporti con il giudice che deve decidere quel gruppo e quella Procura hanno più potere del Parlamento, del premier e del governo intero”: parole di Palamara, testuali.
Possiamo crederci, sono esagerazioni, millanterie? In ogni caso, qualcuno molto autorevole dovrebbe indagare per smentire o confermare l’indubbia evoluzione degenerativa di quello che viene definito il circo mediatico-giudiziario.
E' sempre Palamara che spiega la “regola del tre”: una Procura indaga, un giornale lancia una campagna mediatica e un partito cerca di trarne vantaggio politico. Si badi bene: nessuno crede che Luca Palamara, diventato il capro espiatorio del disastro della Giustizia, sia improvvisamente la Bocca della Verità, avrà i suoi interessi a raccontare come funziona il Sistema e la sua narrazione ometterà certamente molti fatti e sarà orientata in alcuni casi, ma forse non è successo lo stesso con Tommaso Buscetta?
Perdonerete il paragone irriverente ma, pur conoscendo moltissimi degli episodi narrati, la ricostruzione dell’ex PM mi ha fatto la stessa impressione dei verbali di don Masino, che raccontavano il funzionamento e la formazione della Cupola. La crudezza del paragone non è riferito agli uomini - parliamo di magistrati, che in grande stragrande maggioranza svolgono con grande sacrificio un lavoro indispensabile alla società - ma alla scoperta di un meccanismo degenerativo che ha lasciato sgomento anche il Capo dello Stato, che è anche il Capo della Magistratura. E ne parliamo durante le consultazioni per la formazione del governo Draghi, perché il tema della Giustizia resta una vera spina nel fianco del nostro Ordine Costituzionale.
Qualcuno può seriamente pensare che si possano ricordare al Presidente incaricato le priorità in materia di economia, di lavoro ed emergenza sociale, indicate dal Capo dello Stato? Non scherziamo e non si fa una gran bella figura a balbettare al cospetto di Mario Draghi qualche concetto digerito in fretta sulla vocazione europea o ambientalista dell’Italia. Lasciamo volentieri questo sport ai partiti che vengono consultati, la Giustizia è un’altra cosa: anche se non è stata esplicitamente citata nel discorso programmatico del Presidente Mattarella - quei magnifici e drammatici sei minuti che tracciano senza equivoci il percorso del governo Draghi - la priorità di riportare l’amministrazione della Giustizia nell’ambito del rispetto dei diritti e della Costituzione è troppo urgente, se crediamo anche solo alla metà dei fatti e delle relazioni raccontati dal primo magistrato pentito della Repubblica.
Di una riforma parlamentare si parla da troppo tempo e il testo preparato da Bonafede era talmente divisivo che ha segnato la caduta del governo Conte. E, anche prima delle dimissioni del suo governo, le avvisaglie di una incompatibilità tra le forze che componevano la maggioranza si era già manifestata , col pericolo di una crisi e la scelta di un rinvio.
Basterebbe ricordare la questione dell’abolizione della prescrizione, tanto per fare un esempio. Intanto le cose sono anche peggiorate: le dimissioni in serie dei membri del CSM, con la scelta di operare semplici sostituzioni, senza una più radicale e ovvia iniziativa di scioglimento dell’organo di autogoverno della Magistratura, ha creato un clima di sfiducia e sospetti e, in generale di discredito dell’amministrazione della Giustizia. Un piccolissimo, quasi invisibile oggetto, il famoso trojan ha messo in evidenza con pochi dubbi una colossale nominopoli in vigore da anni, tutta poggiata sul gioco delle correnti dell’Associazione nazionale Magistrati, in stretta relazione con la politica e in conflitto con i requisiti di autonomia e indipendenza. Io nomino uno tuo là e tu mi restituisci il favore da un’altra parte.
Un meccanismo meno grave della persecuzione politica su base giudiziaria - che pure, come sappiamo c’è stata e Palamara lo conferma - ma anche più devastante sul piano del controllo capillare della struttura, soprattutto se applicata alle Procure. Non c’è solo una riforma in ballo, pure promessa e prevista dagli impegni con l’Europa, come facciamo finta di dimenticare, ma anche un risanamento indispensabile della struttura della Giustizia, come auspicato all’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario da alcuni magistrati di vertice, che sarebbero autorevoli se non fossero, in modo grottesco, ampiamente citati tra coloro che hanno ottenuto nomine grazie alla politica pura e a quella aggiuntiva delle Correnti dell’Anm. Lo raccontano il trojan e le mail di Palamara e lui lo conferma e se lo fa lui che era stato messo a capo proprio per quello, ci possiamo fidare.
Su questi episodi dovrebbe fare luce una apposita Commissione Parlamentare, con poteri di indagine equivalenti a quelli giudiziari e il presidente Draghi può fare ben poco, tranne che scegliere un ministro della Giustizia all’altezza di questi compiti. Ma in questo caso, ancora di più che nell’indicare le emergenze programmatiche del governo, è decisivo che il nuovo ministro della Giustizia abbia confidenza e l’assoluta fiducia del Presidente Mattarella, perché abbiamo capito tutti che non dovrà affrontare una ordinaria amministrazione.