A un anno dall'attentato la città ha ripreso a vivere, ma restano i segni di quel maledetto 14 luglio. Dai dissuasori anti-camion ai soldati fino agli sguardi attenti dei turisti...
di Alessandro Franchetti© lapresse
Da quel 14 luglio di urla e corpi violati, Nizza è cambiata lenta e silenziosa, dentro una cerimonia lunga un anno che è forse servita a far scivolare via i ricordi. Sulla Promenade des Anglais si è allungata una fila di dissuasori alternata alle nuove palme piantate sul lato della strada che guarda il mare. Hanno aggiornato il panorama, stringendo quella sensazione di ampiezza e libertà che si respirava camminando a un passo dalla spiaggia. Di lì non passeranno più i camion della morte. E non importa se intimamente ci si sente intrappolati dentro una paura che si è insinuata tra le lenzuola. Se questo era il prezzo da pagare a una libertà almeno apparente, il conto è arrivato con il minimo disturbo.
Da quel 14 luglio di festa strozzata e corpi maciullati, Nizza è stata un cantiere aperto 24 ore su 24, confusa tra i lavori per la nuova metropolitana e l'esigenza di spazzare via la tragedia. Sulla Promenade des Anglais camminano lentamente e in formazione squadriglie di quattro soldati. Hanno il viso pulito dei nostri figli, ventenni appesantiti dai fucili, che non riesci proprio a non chiederti cosa farebbero in caso di necessità, giovani come sono. Passeggiano a quadrato mentre sfilano nel centro del loro ipotetico bersaglio runner semi-professionisti e occasionali, signore con cani al guinzaglio, bambini sui monopattini o in sella a piccole biciclette. Sotto i loro scarponi hanno rifatto pezzo dopo pezzo l'asfalto. Bisognava cancellare le macchie di sangue e così è stato.
Di mese in mese sono spariti anche i piccoli altarini occasionali che ricordavano quella notte maledetta. L'ultimo, il più grande, sorto spontaneamente all'ombra dei giardini che si allargano alla sinistra dei casinò e si allungano fin quasi a Place Garibaldi passando per la centrale Place Masséna, ha lasciato il posto all'estate. Sposteranno tutto in un museo della memoria, mentre la memoria collettiva ruota la testa di scatto ogni volta che scoppia un petardo o si sente un rumore più forte del normale. E' l'eredità del terrore, una sensazione di precarietà che noi italiani benedetti non possiamo capire fino in fondo.
Quel piccolo pezzo di Italia che vive Nizza e a Nizza, invece, quel 14 luglio non lo dimentica più. E non importa se non è la loro festa nazionale. La Presa della Bastiglia è stato piuttosto il furto di un'identità candida. Come per la Francia e i francesi, hanno preso a vivere una vita che ha un prima e un dopo. Quando addirittura una vita che ha i segni indelebili di una ferita. I turisti, che avevano abbandonato la città all'indomani della strage, sono tornati ad affollare il lungomare e le strade del centro. In un vivere che continua - deambula nel caso specifico - gli sguardi sono diventati più attenti e la vista di tanto in tanto devia verso quel che resta di quel giorno. Nonostante tutti gli sforzi fatti per rendere ogni passo più sicuro, nonostante i controlli con il metal detector ai mercatini o nelle fiere occasionali, il senso di impotenza è palpabile. Scorre sotto pelle e non si lava via nemmeno con un tuffo nel mare.
Il 14 luglio, un anno dopo, a Nizza suonerà una musica dolce. Hanno deciso di ricordare quella follia in questo modo. Un concerto, la sfilata, l'omaggio alle vittime accompagnato da 86 candele, una per ogni vita spezzata, una cerimonia interreligiosa. Non servirà a sentirsi nuovamente leggeri, ma aiuterà a sopravvivere. Perché Nizza, da quel 14 luglio, è questo: una città sopravvissuta e, per sempre, in esilio.