la guerra al fondamentalismo

Isis e fondamentalismo islamico, una sfida per estirpare le radici del male

Gli ultimi attacchi a Parigi solo l'ultimo atto della guerra dichiarata dal Califfato. Serve reagire, tessere alleanze anche scomode senza però farsi travolgere dalla spirale di odio innescata dagli integralisti

di Domenico Catagnano
04 Apr 2016 - 05:22

    © tgcom24

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All'indomani dell'attacco a Charlie Hebdo, Domenico Quirico sulla Stampa ricordava la storia che un capo jihadista gli raccontava durante la sua prigionia in Siria. Nei ricordi del giornalista l'inquietante favola era pressappoco questa: "C'era nel deserto un cucciolo di leone che era cresciuto tra le pecore e il cucciolo pensava di essere una pecora anche lui, e belava e scappava di fronte ai cani.
Poi un giorno un leone passò di lì e gli mostrò il riflesso in una pozza d'acqua e scoprì ciò che era davvero. Cominciò a ruggire. I cani fuggirono. Ecco: noi siamo musulmani, non pecore, non dimenticarlo più, ci avete umiliato e sfruttato per secoli. E' finita".

In estrema sintesi questo è il manifesto politico dell'Isis, che si serve del fanatismo religioso per combattere una guerra, contro l'Occidente ma non solo. Una guerra non convenzionale, che, dichiarata l'11 settembre del 2001, ha generato una lunga scia di sangue arrivata fino ai sei attacchi contemporanei di Parigi. In mezzo, in questi 14 anni, stragi, attentati e morti -tanti morti- a Londra, Madrid, Copenaghen, ancora a Parigi, a Tolosa, a Lione, ma anche a Bali, Sharm, Il Cairo, Ankara, Tunisi, Beirut, Baghdad, in Nigeria, Somalia, Pakistan, Sudan, Kenya, Yemen. La mappa dell'estremismo islamico in questi anni si è arricchita, tra Al Qaeda e Isis si muove una galassia pericolosa di gruppi che uccidono senza pietà, che trattano alla stessa maniera i musulmani ancora "pecore" e gli occidentali.

Questa frammentazione, che potrebbe sembrare una debolezza, è in realtà una forza: la capacità di rigenerare cellule terroristiche praticamente ovunque fornisce ai fondamentalisti un esercito sempre pronto a colpire nel nome di Allah. Ogni attentato, se vogliamo fare un parallelismo con la guerra tradizionale, è una battaglia. Ma è una battaglia che è difficilissimo prevenire e prevedere, considerato l'ampio fronte in cui si muovono il Califfato e i suoi alleati, un fronte che parte dall'Afghanistan e arriva alla penisola iberica. Ci è stata dichiarata una guerra subdola, strisciante, spiazzante, una guerra dove non ci sono eserciti da affrontare, perché anche una sola persona può costruire un ordigno in casa, superare i controlli di una metropolitana di una qualsiasi città europea e farsi saltare in aria. Noi tendiamo a rimuovere, a sperare che l'attacco dietro casa nostra per il quale ci siamo commossi sia l'ultimo, ma finora non è stato così.

Le radici dell'odio sono profonde, questa guerra sarà lunga e ciò che inquieta è che non c'è una strategia ancora delineata per contrastarla. Bisogna reagire, servono alleanze, ampie il più possibile, che coinvolgano anche quella parte di mondo islamico lontano dal fondamentalismo, al costo di sedersi a un tavolo con personaggi sgraditi e scomodi. Bisogna agire in fretta e non aspettare e rimandare come si è fatto adesso demandando ogni decisione a chissà quando. Non si devono più commettere gli errori del passato, gestendo sbrigativamente (e male) situazioni complesse. Basta pensare a cosa ha portato la "Primavera araba", che doveva rappresentare una ventata di rinnovamento e invece ha sortito gli effetti opposti, complicando ulteriormente il quadro politico, sociale ed economico dei Paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo.

E' necessario aiutare l'Islam che dice no al fondamentalismo e una parte di questo bussa alle nostre porte per fuggire dalle barbarie dell'Isis. I "nostri" morti inevitabilmente ci colpiscono di più, ma il lacerante conflitto tra i musulmani ha provocato conseguenze devastanti e un numero di vittime maggiore. Non è una consolazione ma un dato di fatto, è in corso una guerra ben più complessa di quella che può sembrare, della quale l'Occidente è solo una delle parti in causa. Non possiamo voltarci dall'altra parte e ignorare le molteplici sfaccettature di questo conflitto. E risulta quanto mai necessario, nel nostro quotidiano, non alimentare quel clima di odio del quale l'Isis e gli integralisti si nutrono. Paradossalmente così facendo si rischia di diventare inconsapevoli complici del Califfato.

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