Un campanello d'allarme che arriva dal British Medical Journal. Sono comunque necessari ulteriori studi
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L'uso a lungo termine, dai tre mesi di terapia in su, di benzodiazepine, una classe molto usata di ansiolitici e farmaci per l'insonnia, è legato all'aumento di rischio di ammalarsi di demenza senile o morbo di Alzheimer. Il rischio salirebbe del 51% per trattamenti di tre mesi o più lunghi. La correlazione è emersa da uno studio dell'Inserm, l'istituto nazionale francese della salute e della ricerca medica, condotto presso l'Université de Bordeaux. La ricerca è stata pubblicata sul British Medical Journal.
Lo studio - Alla luce dei risultati, gli esperti avvertono: "Queste terapie dovrebbero essere di breve durata e comunque non superare i tre mesi". Gli esperti hanno usato dati del database Quebec health insurance program (RAMQ), e hanno confrontato quasi 1.800 casi di Alzheimer con un gruppo di controllo di oltre 7.100 individui senza demenza, ma simili per altre caratteristiche come età e sesso.
Forte associazione - I ricercatori hanno considerato le prescrizioni di benzodiazepine e la durata del trattamento e hanno trovato una forte associazione tra rischio di ammalarsi di Alzheimer e l'aver usato in passato questo tipo di terapia. Gli autori scrivono: "Questi risultati sono di fondamentale importanza per la salute pubblica specialmente considerando la prevalenza e la cronicità dell'uso di benzodiazepine nella popolazione anziana e l'aumento dei casi di Alzheimer nei Paesi sviluppati".
Servono ulteriori ricerche - Il neurologo Antonio Federico dell'Università degli studi di Siena precisa: "Ci sono molti elementi che fanno ritenere una possibile relazione di causa-effetto tra assunzione di benzodiazepine e aumentato rischio di Alzheimer, e i risultati dello studio sul British Medical Journal rappresentano un campanello d'allarme. Ma per stabilire con certezza che vi sia una relazione di causa-effetto servono ulteriori conferme sia attraverso studi su animali, sia su casistiche di pazienti di lunga osservazione (20-30 anni)".
Cauto anche Paolo Maria Rossini, direttore dell'Istituto di Neurologia del Policlinico A. Gemelli di Roma, che afferma: "In realtà in letteratura si trovano anche contributi sul finire degli anni '90 che testimoniano esattamente l'opposto e cioé che l'uso di benzodiazepine sarebbe protettivo verso l'Alzheimer".
Rossini aggiunge: "Il cervello è certamente pieno di recettori per le bendoziazepine e queste ultime interagiscono con la produzione di numerosi neurotrasmettitori. Tuttavia l'uso di queste sostanze è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi decenni, senza che ci sia stata un'analoga crescita della malattia di Alzheimer che non possa essere quasi totalmente spiegata dall'invecchiamento della popolazione generale".
Federico ribadisce: "E' un problema aperto da più di dieci anni. Ora sembrerebbe che le benzodiazepine facilitino il deterioramento delle funzioni cognitive, restano però molti punti interrogativi".
L'ansia potrebbe essere un primo segno di demenza - Per esempio, potrebbe essere che l'ansia e l'insonnia siano i primi segni di una demenza senile incipiente. Per questo servono studi su animali trattati con benzodiazepine per vedere se accumulano la proteina beta-amiloide nel cervello, caratteristico segno di Alzheimer. E servono studi di lungo corso su pazienti. Si noti inoltre, conclude Federico, che l'ansia è alla base di molti disturbi cognitivi perché quando si è molto ansiosi non ci si concentra e si hanno anche turbe del ricordo, per cui bisogna considerare che l'ansia in sé può aggravare i deficit cognitivi e le demenze.