Università Nazionale Australiana: due terzi dei decessi di fumatori attivi sono attribuibili al consumo di sigarette, non il 50% come ritenuto finora
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Il rischio di morte prematura a causa del fumo è molto più grave di quanto ritenuto finora. E lo è sia per i fumatori "pesanti" sia per quelli "leggeri" (10 sigarette al giorno). Una ricerca dell'Università Nazionale Australiana, che ha seguito per 4 anni 200mila persone sopra i 45 anni, ha infatti concluso che due terzi dei decessi di fumatori attivi sono attribuibili al fumo, mentre la proporzione citata a livello internazionale è circa del 50%.
"Abbiamo osservato che nell'arco di quattro anni i fumatori correnti avevano una probabilità tripla di morire rispetto a chi non aveva mai fumato, e che la loro aspettativa di vita entro quei quattro anni diminuiva di 10 ore", ha riferito la docente di epidemiologia e salute pubblica Emily Banks. I ricercatori hanno calcolato i decessi legati al fumo associando i dati del registro nascite e decessi ai nomi dei partecipanti, escludendo chi all'inizio dello studio già soffriva di cancro, malattie cardiache o ictus.
Brutte notizie anche per chi pensa di fumare poco. "Il rischio di morte associato al fumo di 10 sigarette al giorno è simile a quello di chi soffre di obesità morbosa, cioè con un indice di massa corporea di 35 o più", ha spiegato Banks. Prevedibilmente, lo studio conferma che fumare meno è meglio che fumare tanto, ma mostra anche che smettere migliora sostanzialmente lo stato di salute della persona: "Smettere a qualsiasi età riduce i rischi e più giovani si è quando si rinuncia al fumo, maggiore è il beneficio".