La "condivisione del letto" con il proprio bambino è una pratica molto dibattuta ma recentemente è fortemente sconsigliata dai pediatri per l'alto rischio di soffocamento del neonato
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Co-sleeping è proprio il termine con il quale viene definita, nella comunità scientifica, la comune abitudine di dormire nello stesso letto con il proprio neonato. Una pratica molto dibattuta e, negli ultimi anni, sconsigliata da diversi studi scientifici americani che hanno analizzato le implicazioni sospette tra il "condividere il sonno" e l’aumento della mortalità neonatale.
Le raccomandazioni per il sonno sicuro dei neonati - La condivisione del letto è uno dei fattori di rischio più elevati per quanto riguarda la morte improvvisa e inaspettata del lattante. Attraverso le raccomandazioni del 2022 per il sonno sicuro dei neonati, l'American Academy of Pediatrics consiglia i seguenti accorgimenti: “Il coricamento in posizione supina, l'uso di una superficie di riposo solida e non inclinata, la condivisione della stanza ma non del letto, di evitare il surriscaldamento e l'utilizzo di lenzuola morbide che potrebbero ostruire le vie respiratorie". Per l'Accademia pediatrica, dunque, è preferibile "idealmente per i primi sei mesi, che i neonati dormano nella stanza dei genitori, vicino al loro letto, ma su una superficie separata e adeguata all'età e alle dimensioni del piccolo".z
Le cause di morte del co-sleeping - A determinare il decesso potrebbe essere il soffocamento meccanico: il neonato potrebbe infatti morire asfissiato dalle coperte o perché viene schiacciato da un adulto. Questo non significa non poterlo allattare o coccolare mentre si è distesi, bensì stare attenti a non addormentarsi con il bambino in braccio oppure accanto, perché potrebbe cadere, rimanere compresso sotto il peso del corpo o rimanere senz'aria. La prima regola di prevenzione da dare alle neomamme, per veitare il soffocamento, è assicurarsi sempre che il nasino del proprio bambino sia libero, soprattutto durante la poppata e durante il sonno".
La differenza tra co-sleeping e rooming-in - Altra cosa invece è il rooming-in. È una pratica che prevede la permanenza del bambino nella stessa camera della madre subito dopo il parto e che ha una serie di scopi, tra cui soprattutto quello di favorire l’allattamento al seno. A promuovere la pratica del rooming-in sono gli stessi Oms e Unicef, secondo cui "il contatto tra madre e figlio, che si realizza sia a livello epidermico che visivo immediatamente dopo la nascita, dovrebbe continuare offrendo alla madre la possibilità di tenere sempre il bambino con sé – si legge nel documento congiunto. La pratica del rooming-in dovrebbe quindi sostituire quella di tenere madre e figlio in camere separate e a contatto soltanto durante visite programmate". A differenza del co-sleeping, dunque, si condivide l'ambiente, così che il neonato possa essere costantemente preso in braccia dalla mamma (e anche dal papà) ma non si condivide il letto. Il rooming-in, a differenza del co-sleeping presenta innumerevoli vantaggi senza "rischi": facilita il crearsi di un legame affettivo: facilita l’allattamento al seno; permette un contatto più stretto con il padre e con altri familiari. Inoltre il mantenimento del contatto madre-figlio favorisce la colonizzazione della pelle e del tratto gastroenterico del neonato da parte dei micro-organismi materni, che tendono a non essere di natura patogena. Una pratica che in Italia è possibile solo in alcuni ospedali particolarmente virtuosi.
L'importanza di una "rete" di controllo - Può capitare che la condivisione del letto può avvenire involontariamente se i genitori si addormentano mentre alimentano il bambino, o in momenti di particolare stanchezza, come nel caso del Pertini di Roma. Per questo è fondamentale ribadire l'importanza di una rete di supportoe di controllo attorno a chi accudisce un neonato, dal momento che, in una fase così delicata, la stanchezza puó prendere il sopravvento in ogni momento.