In questo modo, secondo gli esperti, si potrebbero decongestionare gli ospedali e alleggerire l'impegno degli anestesisti, evitando inoltre alle donne possibilità di contagio
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I ginecologi italiani lanciano un appello perché si faccia un maggior ricorso in caso di necessità all'aborto farmacologico durante l'emergenza coronavirus, "a tutela della salute e dei diritti delle donne". In questa fase di pandemia, spiegano le società scientifiche di Ginecologia e Ostetricia, sarebbe utile a decongestionare gli ospedali, alleggerire l'impegno degli anestesisti e l'occupazione delle sale operatorie.
"In questo momento storico - spiega Antonio Chiantera, presidente della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia - riteniamo doveroso tutelare la salute e i diritti delle donne, attuando le procedure ritenute giustamente indifferibili, e al contempo ponendo in essere tutte le misure utili a contenere e contrastare il diffondersi della pandemia".
E Nicola Colacurci presidente dell' Associazione Ginecologi Universitari Italiani, sottolinea invece che "il percorso tradizionale dell'aborto chirurgico, che prevede numerosi accessi ambulatoriali espone la donna a un numero eccessivo di contatti con le strutture sanitarie, che sicuramente" in questo periodo di emergenza "non contribuiscono alla riduzione del rischio di contagio".
Inoltre, secondo i ginecologi, le maggiori difficoltà che le donne incontrano ad accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza rischiano di determinare il superamento dei limiti temporali previsti dalla legge; rischio ancora maggiore per le donne che vivono in condizioni di alta marginalità e vulnerabilità, quali
violenza domestica, condizioni precarie di salute o positività al coronavirus.
Gli esperti sottolineano quindi la necessità di rivedere alcuni aspetti delle procedure vigenti, dichiarandosi favorevoli prima di tutto a spostare il limite del trattamento da 7 a 9 settimane; eliminare la raccomandazione del ricovero in regime ordinario dal momento della somministrazione del mifepristone a momento dell'espulsione; introdurre anche il regime ambulatoriale che prevede un unico passaggio nell'ambulatorio ospedaliero o in consultorio, con l'assunzione del mifepristone, e la somministrazione a domicilio delle prostaglandine, procedura già in uso nella maggior parte dei Paesi europei. Per i ginecologi, inoltre, bisogna prevedere una procedura totalmente da remoto, monitorizzata da servizi di telemedicina, come è già avvenuto in Francia e nel Regno Unito.