Congresso a Roma il 22 novembre

Dolore pelvico cronico, "Non è per sempre, non perdiamo la speranza di diagnosi e cura"

A Tgcom24 Eleonora Petruzzi, vicepresidente di Ainpu, Associazione Italiana Neuropatia del Pudendo: "Noi malati ci appelliamo ai medici: specializzatevi per restituirci una vita normale"

10 Ott 2019 - 11:04
 © Ansa

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"La mia vita è cambiata radicalmente: non posso indossare pantaloni, non posso saltare, correre, fare pipì, avere rapporti sessuali, a 24 anni sento il desiderio di farla finita". "Vivo con dolore costante da seduto; due anni tra visite mediche, esami clinici, trattamenti: frustrazione per effetti minimi e non risolutivi". "Ho paura di non riuscire ad avere figli". Sono solo alcuni dei messaggi disperati che ogni giorno arrivano a Eleonora Petruzzi, vicepresidente di Ainpu, Associazione Italiana Neuropatia del Pudendo. "Il dolore pelvico cronico è una malattia invalidante, poco diagnosticata e sconosciuta", afferma a Tgcom24, invitando soprattutto i medici a partecipare al quarto congresso nazionale sulla neuropatia del pudendo, a Roma il 22 novembre.

Che cos'è la neuropatia del pudendo?

"E' una malattia cronica che colpisce un nervo sensitivo, motorio e funzionale nel ramo terminale del plesso pudendo che, propagandosi anteriormente dalla terza radice sacrale, innerva tutto il bacino, sia la regione dello sfintere anale che dei genitali. Ciò causa problemi urogenitali, gastrointestinali, motori, dolori. E' invalidante ma non ancora riconosciuta come tale. Purtroppo è poco studiata e rientra tra quelle rare perché conta meno di 10mila pazienti, ma in tanti non sanno di averla".
 

Qual è l'origine?
"Diverse sono le cause. Un trauma; una caduta anche banale; interventi chirurgici, a volte sbagliati, per emorroidi, ragadi; in molti casi arriva da endometriosi, da postura errata. Possono esserne colpiti i ciclisti e i calciatori. Pogda, per esempio, ne ha sofferto per la troppa attività sportiva, ma ha avuto anche la fortuna di essere curato in tempo e per tempo".
 

L'identikit del malato?
"Non c'è un'incidenza territoriale o familiare. Le forme della patologia sono diverse. Tra i nostri associati ci sono ottantenni e anche ventenni malati da tempo. Non ci sono dati certi, perché ancora tanti soffrono senza sapere per cosa, ma sappiamo che il 70% dei colpiti dall'infiammazione non può rimanere seduto, il 35% non può camminare ed è costretto a letto per anni e anni. Nel mio caso, mi sembra di avere un'influenza perenne, a 33 anni".

Quali le cure?
"Al giorno d'oggi non esiste una cura definitiva e la maggioranza dei malati deve ricorrere a oppiacei e farmaci neurolettici per calmare il dolore. Stiamo parlando di una patologia complessa che interessa  diverse specialità mediche: neurologia, urologia, ginecologia, ortopedia, fisiatria, terapia del dolore... Una volta che si ha la diagnosi si procede per step. Si inizia con il seguire un protocollo".

Cosa prevede questo protocollo?
"Si parte con farmaci molto forti, antidepressivi che agiscono sul sistema nervoso, miorilassanti, morfina, oppiacei. Dopo sei mesi a dosaggio elevato si prova con le infiltrazioni direttamente sul nervo. C'è poi la radiofrequenza, che è sperimentale e a tempi impossibili; e ancora la fisioterapia con manipolazioni interne e si può pensare all'intervento chirurgico in caso di compressione. Infine, dopo un anno e mezzo di attesa, io sono passata al neuromodulatore sacrale, un impianto nella schiena, una sorta di peacemaker, che manda impulsi elettrici continui e mi ha ridato la vita a 30 anni".

Come si muove l'associazione nelle sue campagne informative?
"Modero da tre anni la pagina Facebook 'Neuropatia del pudendo' che conta 2mila utenti ed è aperta a tutti per dare informazioni e supporto. Da quando poi due anni fa sono diventata vicepresidente Ainpu gestisco anche la pagina social dell'associazione con 300 iscritti dai 30 di partenza. In entrambi i casi mi confronto soprattutto con donne malate. Perché l'uomo nella malattia difficilmente è solo, a meno che non si isoli. In ogni caso, per uomo o donna, i percorsi clinici sono tutti difficili, dolorosi, dispendiosi. Si rivolgono a noi depressi cronici che chiedono aiuto ma che poi non trovano la forza per affrontare il decorso; altri sono costretti a letto e ad avere una vita limitata. E' altrettanto importante la gestione del dopo".

Il fine del congresso del 22 novembre a Roma?
"Ci interessa raggiungere i medici. E' importante che si specializzino".

Ma all'estero la situazione è migliore?
"Dall'esperienza dei nostri associati non direi. Ci arrivano tante testimonianze dalla Francia, dal Belgio, dalla Colombia. Gli interventi sembrano arrecare sempre danni, purtroppo. In pochi parlano di miglioramenti".

Il messaggio finale?
"Come espresso nel titolo del congresso, il dolore cronico non è per sempre. Invito, quindi, i malati a non perdere la speranza; negli ultimi due anni abbiamo notato più attenzione sulla patologia, vogliamo che questa attenzione aumenti".

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