OROLOGIO BIOLOGICO IN TILT

Salute, i turni di lavoro notturno aumentano il rischio di tumore

A essere compromesso è il meccanismo di crescita delle cellule controllato da due geni "lancetta", denominati Bmal1 e Per2

03 Ago 2016 - 10:14

Spezzare il naturale ritmo di sonno-veglia manda in tilt l'orologio biologico e aumenta il rischio di insorgenza di tumore. E' quanto emerge da uno studio del Mit (Massachusetts Institute of Technology) di Boston, pubblicato sulla rivista Cell Metabolism. A essere compromesso è il meccanismo di crescita delle cellule controllato da due geni "lancetta", denominati Bmal1 e Per2.

Tutta colpa della luce di notte - L'elemento chiave che scatena questo meccanismo "distruttivo" è la luce, che colpisce la retina e manda un segnale al cervello (nella regione del nucleo soprachiasmatico) dove risiedono gli "ingranaggi" dell'orologio biologico da cui partono i segnali che regolano le "lancette" in ogni cellula del corpo. "La luce è come un pulsante di reset che azzera l'orologio: quando si perde questo segnale, si perde il ritmo naturale in tutte le cellule dell'organismo", spiega il coordinatore dello studio, Thales Papagiannakopoulos.

A perdere il ritmo sono i geni "lancetta" Bmal1 e Per2. "Se si distruggono questi geni in tutte le cellule del corpo, il segnale luminoso che si riceve normalmente non provoca più alcun effetto", sottolinea il ricercatore. "E' come prendere un martello molecolare e rompere l'orologio", aggiunge.

Crescita cellulare fuori controllo - Le conseguenze del danno, secondo quanto emerge dagli esperimenti sui topi, possono essere molto pesanti. I geni Bmal1 e Per2, infatti, regolano la tempistica con cui viene acceso un altro gene, detto C-myc, che controlla la crescita della cellula. Se i geni "lancetta" vengono rotti (attraverso un danno diretto al Dna o per un alterato ritmo sonno veglia), C-myc diventa "super attivo" e accelera la crescita della cellula, facendola proliferare in modo incontrollato col rischio di generare un tumore aggressivo.

I risultati dei test sono stati confermati anche dall'analisi di biopsie prelevate da pazienti con tumore del polmone: nelle cellule malate, i geni Bmal1 e Per2 sono molto meno attivi rispetto alle cellule sane.

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