Lo studio australiano

Ecco come il cervello umano localizza i suoni

Secondo uno studio australiano, la rete è più semplice e diffusa di quanto ipotizzato finora e distingue le parole dai rumori di fondo 

08 Mag 2024 - 11:30
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In che modo il nostro cervello localizza i suoni? La risposta arriva da un nuovo studio australiano pubblicata sulla rivista "Current Biology". I ricercatori della Macquarie University hanno individuato il circuito nervoso che permette di localizzare le sorgenti sonore: è più semplice e diffuso di quanto ipotizzato finora ed è anche in grado di distinguere le parole dai rumori di fondo. 

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Lo studio

 I ricercatori australiani hanno impiegato 25 anni per dimostrare, in una specie animale dopo l'altra, che il cervello usa una rete neurale più diffusa, con neuroni in entrambi gli emisferi che eseguono questa funzione insieme ad altre. Grazie a questo studio hanno visto che lo stesso vale anche per l'uomo: lo hanno dimostrato attraverso uno specifico test dell'udito e l'uso dell'imaging cerebrale avanzato, con cui hanno potuto fare dei confronti con il cervello di altri mammiferi, compresi i macachi.

"Siamo stati in grado di dimostrare che i gerbilli sono come porcellini d'India, i porcellini d'India sono come i macachi e i macachi sono come gli umani in questo senso. Una forma diffusa ed efficiente di circuiti neurali svolge questa funzione", afferma David McAlpine, che ha guidato i ricercatori.

La scoperta che potrebbe migliorare la progettazione di apparecchi acustici e assistenti vocali, . Per assolvere a questo compito, spiegano i ricercatori, non c'è bisogno di ricorrere a complessi modelli linguistici di grandi dimensioni, ma è sufficiente un approccio più semplice. 

Verso nuova generazione di apparecchi acustici?

 La scoperta potrebbe aprire le porte a una nuova generazione di dispositivi acustici più efficienti, da quelli degli smartphone, agli assistenti vocali, fino alle protesi per chi soffre di problemi di udito.

Questi apparecchi spesso faticano a riconoscere quando una persona parla per il cosiddetto "effetto cocktail party", dovuto all'ambiente rumoroso. Essi sono stati finora progettati sulla base di una teoria vecchia di 75 anni, secondo la quale il nostro cervello riuscirebbe a localizzare le sorgenti sonore sulla base del ritardo temporale con cui i suoni raggiungono ciascun orecchio. 

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