Le moderne tecniche aumentano i casi di successo. Tra i dati di uno studio, condotto su 6.600 coppie, anche quelli sugli aborti spontanei: si sono dimezzati, passando dal 12% a meno del 6%
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Per le coppie che intraprendono un percorso di fecondazione medicalmente assistita oggi le probabilità di avere un bambino sono circa il 30% più alte rispetto a 10 anni fa. Lo rileva uno studio condotto da ricercatori e medici del gruppo "Genera" presentato al congresso della Società europea di Medicina della riproduzione ed embriologia (Eshre), ad Amsterdam. Una parte del merito ormai è anche dell'IA, che aiuta a valutare la salute degli embrioni.
Nonostante la procreazione medicalmente assistita (Pma) sia sempre un percorso lungo e faticoso, lo studio rileva dunque che con le nuove tecniche si possono ottenere più successi. I ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 6.600 coppie che si sono sottoposte a Pma nel centro Genera di Roma. Il tasso di bambini nati entro tre anni dall'inizio del trattamento è passato dal 32% del 2010 al 42% nel 2020, con picchi fra il 70 e l'80% nelle donne under 38 che avevano una riserva ovarica nella norma. Lo studio rileva inoltre che gli aborti spontanei si sono dimezzati, passando dal 12% a meno del 6%. È diminuito anche il numero delle donne che hanno avuto un parto gemellare, passato in 10 anni dal 7,5% allo 0,5%.
"I progressi clinici e di laboratorio hanno migliorato l'efficacia e l'efficienza della fecondazione in vitro nel tempo, soddisfacendo anche il desiderio di pianificazione familiare", afferma il primo autore della ricerca Alberto Vaiarelli, ginecologo e coordinatore medico-scientifico del centro Genera di Roma. "Le tecnologie che abbiamo in serbo per il futuro e il miglioramento dei flussi di lavoro ci serviranno per raggiungere l'obiettivo di una riduzione dell'abbandono del trattamento da parte delle coppie", aggiunge il medico. Secondo i ricercatori, le tecniche di fecondazione assistita sono migliorate e con esse i risultati ottenuti. In particolare, ad aver determinato il maggiore successo sono stati: l'uso di terapie ormonali personalizzate, l'avanzamento dello sviluppo degli embrioni prodotti in laboratorio fino al 5-7° giorno, il congelamento dei gameti e degli embrioni prima di procedere con il trasferimento in modo da ottimizzare le condizioni dell'utero, il test genetico pre-impianto e l'adozione dell'approccio multiciclo che prevede la possibilità di fare più tentativi.
Durante il congresso Eshre sono stati presentati anche altri studi che approfondiscono il tema. Sempre dei ricercatori di Genera hanno confermato che l'Intelligenza Artificiale è in grado di valutare le condizioni degli embrioni generati con Pma al fine della selezione dei più adatti all'impianto, al pari di come fanno gli operatori umani.
"Attualmente gli strumenti di intelligenza artificiale sono oggetto di studio per valutare se possano prevedere in modo non invasivo l'euploidia (lo stato di salute a livello cromosomico) degli embrioni, ma prima di poterli utilizzare in clinica avremo bisogno di ulteriori analisi", afferma il responsabile Ricerca del gruppo Genera, Danilo Cimadomo. Per questo oggi il test genetico pre-impianto è ancora il miglior indicatore di competenza embrionale. "Non credo sia così prossimo il momento in cui possa essere sostituito da uno strumento di IA. Vedo più probabile, a breve termine, una cooperazione delle due tecnologie", conclude Cimadomo.
Oltre alle moderne tecniche di Pma, un aiuto alla fertilità potrebbe venire anche da percorsi personalizzati di nutrizione che possono ottimizzare le chance di concepimento nelle donne con problemi di infertilità. Allo stesso evento, degli esperti nutrizionisti del gruppo Genera hanno presentato infatti i risultati di un test pilota da loro condotto che mostrerebbe come le donne con problemi di fertilità hanno una differente distribuzione dei tessuti soprattutto nella parte inferiore del corpo e nella mineralizzazione ossea. Lo studio ha esaminato la conformazione fisica attraverso delle radiografie full body.
Questo approccio, una volta esteso, potrebbe dare dei criteri oggettivi per valutare la composizione corporea di una donna e arrivare a elaborare una terapia nutrizionale e di stili di vita su misura per ciascuna paziente. "Essere sottopeso, sovrappeso o obese aumenta il rischio di ripetuti fallimenti d'impianto dell'embrione o di aborto spontaneo - spiega la prima firmataria della ricerca Gemma Fabozzi, responsabile del centro B-Woman per la salute della donna - . L'indice di massa corporea è l'indicatore più utilizzato per definire le caratteristiche antropometriche. Tuttavia, rappresenta un indicatore inadeguato della composizione corporea, con il rischio di calcolare erroneamente la percentuale di massa grassa e di sottostimare il rischio di fallimento riproduttivo". Servirà dunque altro tempo: "Gli studi dovranno proseguire per capire meglio le differenze e arrivare a elaborare una terapia".