Gianluca Ius, manager da anni attivo nel mondo del calcio, spiega perché secondo lui tanti giovani calciatori sono oggi a rischio di cadere nella trappola delle scommesse
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“La ludopatia è un problema molto serio. E purtroppo anche questo fenomeno è figlio nei nostri giorni. Molti giovani invece di praticare sport passano sempre più tempo davanti a smartphone e tablet. Device elettronici e web senza alcun controllo favoriscono l’accesso a piattaforme più o meno legali dove si scommette davvero. Non parliamo solo di calciatori di grido, in ballo ci sono i nostri ragazzi. Inoltre le scommesse sono solo la punta dell’iceberg, le dipendenze dal web sono un rischio reale”.
Gianluca Ius, classe 1975, è un imprenditore e manager che opera tra Milano e Roma. Ma è soprattutto un grande appassionato di calcio. Ex presidente del Foligno, ogni anno finanzia e sponsorizza manifestazioni benefiche legate al mondo dello sport. E’ Main Partner della Nazionale Italiana Artisti Tv e sponsor delle Olimpiadi del Cuore di Forte di Marmi. Interviene dopo il clamore dello scandalo scommesse di questi giorni per denunciare che no, non è solo un problema che coinvolge calciatori famosi. A rischio sono tutti i giovani che trascorrono sempre più tempo davanti a device elettronici invece che praticare attività sportive.
“Lo sport dovrebbe essere di importanza primaria nella vita di tutti - racconta Ius - specialmente in quella dei giovani che purtroppo si rifugiano sempre di più nelle proprie camerette, prediligendo web e videogames ad un allenamento fisico vero e proprio”.
Domanda retorica: perché dovrebbe essere così importante?
“Lo sport è una scuola di vita: un momento di aggregazione sociale, educazione e crescita personale sia fisica che mentale. Insegna alla competizione, a vincere rispettando l’avversario e a perdere senza troppe frustrazioni.
Non deve passare in secondo piano il fatto che molti degli insegnamenti trasmessi dallo sport, sia esso individuale o di squadra, e dai vari allenatori valgono anche fuori dai campi e dagli spogliatoi. Allenandosi e giocando i giovani apprendono in modo naturale come affrontare tante situazioni che si presentano anche nei più diversi contesti quotidiani. Soprattutto imparano a riconoscere la necessità di sforzo ed impegno per raggiungere i proprio obiettivi”.
Concretamente, lei cosa farebbe?
“Se oggi dovessi riprendere la carriera, così come già affrontata durante la mia Presidenza del Foligno Calcio, destinerei gran parte degli investimenti al settore giovanile e alle strutture sportive, come stadi e campi da gioco.
Serve darsi da fare. Io da tempo sostengo settore dello sport in qualità di main sponsor, grazie alla mia holding ‘’Bellatrix SA’’. Partecipo a finanziare molti eventi sportivi proprio per rimarcare l’importanza e il valore di un settore che a volte viene lasciato in disparte”.
Dice che vorrebbe convincere i giovani a mollare gli smartphone per fare sport. L’impressione però è che in Italia già oggi molti ragazzi siano impegnati in qualche attività sportiva…
“Purtroppo, non è più così. Ci sono dati molto preoccupanti. Tecnicamente si chiama “Drop-out Sportivo”. Ai più piccoli piace fare sport, stare all’aria aperta, mettersi alla prova in una competizione. In Italia circa il 60% dei bambini delle scuole elementari pratica un’attività sportiva. Ma a causa della sempre più diffusa “dipendenza dal web”, tra i 13 e i 16 anni il 30% dei ragazzi in questa fascia d’età abbandona lo sport”.
Quali effetti ha questa dipendenza dal web?
“Sul fisico e sulla psiche degli adolescenti, effetti disastrosi. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, un milione e 150mila adolescenti italiani soffrono di un disturbo alimentare, quasi 500mila hanno un rapporto patologico coi videogiochi e 100mila con Instagram, TikTok e compagnia social. Bisogna intervenire prima che sia troppo tardi, devono imparare ad avere rispetto del proprio corpo e della propria mente. In questo, lo sport è liberatorio. Dobbiamo fare qualcosa”.
E cosa, esattamente?
“Ho diverse idee e progetti che spero di realizzare presto. Campagne web e social disegnate su misura per i nostri ragazzi, utilizzando proprio quei mezzi che così tanto li attraggono – e li distraggono - per spiegare loro quanto sia bello divertente riaprirsi alla socialità, all’attività fisica, alla sana competizione. Certo, è solo un sasso lanciato nello stagno. Il privato può arrivare fino a un certo punto, sono le istituzioni che dovrebbero impegnarsi a rendere possibile tutto questo. A partire dalla scuola, dove l’ora di educazione fisica è poco più di un riempitivo. La cultura sportiva è del tutto ignorata”