Un'operazione effettuata in Germania grazie a una ricerca italiana ha fornito la prima prova diretta che la pelle umana è sostenuta da una base di unità molto longeve
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Un trapianto di pelle rigenerata in laboratorio ha salvato la vita a un "bambino farfalla", colpito dalla malattia genetica chiamata epidermolisi bollosa giunzionale, che rende appunto la pelle fragile come le ali di una farfalla. L'intervento, descritto su Nature, è stato effettuato in Germania nel 2015 grazie al gruppo guidato da Michele De Luca, dell'Università di Modena e Reggio Emilia. La ricerca ha individuato la "fonte" che rinnova le cellule.
La scoperta ha permesso di identificare come le cellule staminali permettono alla pelle di rinnovarsi continuamente. "Era un tema molto dibattuto e adesso ha finalmente conosciuto una svolta", ha commentato De Luca.
La storia del bambino farfalla - "Ora il bambino sta bene, va a scuola e gioca a pallone", ha aggiungo il medico pioniere delle ricerche sulla rigenerazione della pelle. "Il piccolo, di origine siriana, vive con i suoi genitori, le sorelle e i fratelli. La sua pelle è stabile e ha già avuto più cicli di rinnovamento". La richiesta del trapianto era arrivata dalla Germania perché "il bambino, colpito da una grave forma di epidermolisi bollosa, aveva perso l'80% della pelle, era in fin di vita e in coma farmacologico". Nel settembre 2015 le autorità tedesche hanno dato il via libera all'intervento per uso compassionevole.
I ricercatori hanno ottenuto la prima prova diretta che la pelle umana è sostenuta da una base di cellule molto longeve, dalle quali derivano unità progenitrici, dalla vita relativamente breve e che vengono continuamente rinnovate. Prima che i ricercatori individuassero questo meccanismo, si riteneva che la pelle avesse un solo tipo di cellule staminali.
Cellule prelevate e modificate - Il gruppo di De Luca ha utilizzato cellule della pelle del bambino colpito dalla malattia genetica che rende la pelle fragilissima, chiamata epidermolisi bollosa giunzionale. Le unità sono state prelevate da un'area nella quale non comparivano le vesciche tipiche della malattia.
Le cellule sono state quindi corrette geneticamente trasferendo al loro interno la forma non mutata del gene Lamb3, la cui alterazione scatena l'epidermolisi bollosa. Per trasferire il gene sano gli scienziati hanno utilizzando come navetta un virus reso inoffensivo.
Una pelle totalmente nuova - Le cellule così modificate sono state coltivate in modo da ottenere lembi di pelle delle dimensioni comprese fra 50 e 150 centimetri quadrati, trapiantati nel bambino in due interventi successivi. Nel corso dei 21 mesi successivi all'intervento, la pelle rigenerata ha aderito allo strato sottostante, il derma, senza dare origine a vesciche e rinnovandosi regolarmente.