Il ricercatore Vincenzo Salemme è coautore dello studio che ha analizzato il comportamento della cosiddetta p140Cap, molecola in grado di inibire la crescita delle cellule tumorali
Il tumore al seno colpisce una donna su sette e solo in Italia riguarda ad oggi circa mezzo milione di pazienti. Ma grazie alla ricerca dell'Università di Torino sulla proteina in grado di fermare la crescita della malattia, “abbiamo aperto la strada verso terapie mirate e forme più efficaci di diagnosi precoce”. E’ quanto afferma a Tgcom24 il ricercatore Vincenzo Salemme, coautore dello studio pubblicato su Nature Communications e dottorando in Medicina molecolare presso il Dipartimento di Biotecnologie mediche e Scienze della salute dell’Università di Torino.
La proteina è in grado di opporsi alla progressione di un particolare tipo di tumore mammario, chiamato ERBB2. La molecola era già nota, ma i ricercatori italiani guidati dalla dottoressa Paola Defilippi hanno ora messo in luce il meccanismo con cui la p140Cap interviene in chiave inibitoria sulle cellule del cancro al seno. Di seguito l'intervista al dottor Salemme.
Parlami del progetto. Da quanto tempo ci stavate lavorando?
Il progetto è stato lanciato 12 anni fa. Io ci lavoro da molto meno, perché mi occupo dello studio diretto dei meccanismi cellulari. I miei colleghi hanno cominciato con l'analisi dei parametri di una corte di 500 pazienti di tutte le tipologie di tumore. Tra queste, si sono focalizzati sul sottotipo cosiddetto HER2-positive. Dopo anni di test, si è scoperta l'esatta collocazione di un gene cruciale per l'espressione della proteina. Il gene Srcin1 dista infatti esattamente un milione di basi dal recettore ERBB2 e si trova sul suo stesso cromosoma, il numero 17.
Perché è così importante questo gene?
Il gene ERBB2 si amplifica col tumore al seno ed è molto probabile che nel contempo venga amplificato anche il gene Srcin1. Purtroppo si tratta di meccanismi del tutto casuali e quindi non prevedibili in maniera infallibile. Sapevamo già che il 20% di tutti i tumori mammari sono HER2-positive. E di questi, il 50-60% vede la co-amplificazione della proteina p140Cap. In altre parole, i due geni sono attivi in presenza del cancro.
Quindi la proteina p140Cap non solo blocca la progressione del cancro, ma in un certo senso la "segnala" anche...
La p140Cap è un fattore di tipo prognostico. Sulla base di questa ricerca si può cioè dire che, se una paziente codifica la proteina, potrà avere un decorso favorevole. I dati ci hanno inoltre suggerito un'altra realtà interessante: le pazienti che esprimono che amplificano i geni Srcin1 ed ERBB2, esprimono anche le due tipologie di proteine 'buone' e 'cattive'. In altre parole, in queste donne sono presenti più proteine in grado di bloccare la metastasi. Di conseguenza la loro prognosi sarà più favorevole. Si tratta di una forma meno aggressiva rispetto a quelle pazienti che esprimono e amplificano soltanto il gene ERBB2.
Lo studio porterà ad applicazioni pratiche immediate o la strada è ancora lunga?
E' ancora presto per mettere a punto terapie mirate contro il tumore mammario, ma abbiamo aperto la strada. Adesso si tratta di capire come questa proteina possa essere 'accesa' nelle cellule che non la esprimono, capire se c'è qualche elemento che agisce in modo negativo e la tiene 'spenta'. Probabilmente è così, perché si conoscono tanti di questi meccanismi nell'organismo umano.
Qual è il vostro prossimo obiettivo?
Diciamo che il prossimo passo è quello di realizzare l’identikit della molecola p140Cap. Dobbiamo capire quali sono le vie cellulari che la p140Cap tiene sotto controllo e vedere se ci sono già farmaci che agiscono su queste vie, in modo da poterli utilizzare anche nella lotta al cancro al seno. In altre parole vogliamo riuscire a mimare il comportamento della proteina laddove non c'è.
Attualmente quali sono i trattamenti disponibili per contrastare il tumore mammario?
Cominciamo col dire che il cancro al seno è una delle forme tumorali meglio curabili. Per quanto riguarda il sottotipo HER2, in cui cioè le proteine cattive superano quelle buone, la malattia viene trattata clinicamente con anticorpi monoclonali che bloccano il recettore ERBB2. Questo tipo di trattamento viene definito target therapy, proprio perché vengono utilizzati farmaci mirati. Le pazienti HER2 vengono però trattate allo stesso tempo con cure che non hanno un bersaglio specifico, come la chemioterapia. Ci sono però anche casi intermedi in cui il recettore 'incriminato' non è particolarmente espresso: in questi casi si studia una terapia ad hoc.
È utopistico sperare che il tumore al seno, così come gli altri, venga sconfitto una volta per tutte?
Purtroppo al momento il cancro al seno non si può ancora sconfiggere definitivamente. Tutto ciò che si può fare è renderlo meno aggressivo. Ma i dati dimostrano che i casi di 'guarigione' aumentano, quindi non bisogna mai perdere la speranza.