La ricerca ha preso in esame 200 azzurri in partenza per le Olimpiadi: "Le loro coperture alle malattie erano inferiori al 10%"
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Gli atleti olimpici italiani sono poco vaccinati, nonostante rischino di contrarre malattie in percentuale maggiore rispetto alla popolazione generale, sia per questioni fisiologiche sia per i viaggi in Paesi a rischio. E' quanto emerge da uno studio condotto dall'istituto di Medicina dello Sport del Coni e dall'Inmi Spallanzani di Roma in occasione dei Giochi di Rio. I test hanno preso in esame 200 atleti in partenza per le Olimpiadi: le loro coperture alle malattie erano inferiori al 10%.
Deboli contro le malattie - Degli sportivi selezionati, metà aveva già viaggiato in paesi tropicali e cinque avevano già contratto qualche patologia pregressa. "Meno del 10% aveva fatto la vaccinazione anti-meningococco, meno del 7% quella per la febbre gialla, meno 5% quella per l'influenza", ha spiegato Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani. "Il modello degli sportivi sani fa sì che non si tenga in considerazione che una banale malattia infettiva può far perdere preparazione e gare", ha aggiunto.
Grande sforzo, difese basse - Secondo il direttore dell'istituto del Coni, Antonio Spataro, gli atleti hanno un rischio due o tre volte maggiore di contrarre malattie infettive rispetto alla popolazione generale, perché lo sforzo fisico abbassa le difese immunitarie per un intervallo dalle 3 alle 72 ore.
"Rischio spesso sottovalutato" - "Non mi aspettavo un dato così eclatante - ha sottolineato Spataro -, che ci impone da oggi in poi una maggiore attenzione su questo tema. L'atleta si allena dalla mattina alla sera, non ha tempo di fare nulla e spesso sottovaluta certe problematiche. La vicenda di Beatrice Vio ci aiuta molto, perché è un esempio eclatante di come vaccinandosi sia possibile evitare spiacevoli situazioni".