Cresce il Fondo Sanitario Nazionale, ma il divario con Germania, Francia e Regno Unito è alto e pesa sugli ospedali pubblici italiani
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L'Italia spende per la sua sanità, ma lo fa meno della gran parte dei Paesi europei. Dopo la pandemia gli investimenti nel Fondo Sanitario Nazionale sono stati continui e in crescita, ma questo non basta a raggiungere le quote finanziate per i propri ospedali da Germania, Francia e Gran Bretagna per i propri ospedali. Nel corso del 2022 la spesa sanitaria corrente è stata di 131,1 miliardi di euro, quasi 4 miliardi in più rispetto al 2021, 9 se si guarda al 2020.
Nel confronto internazionale, quindi, il bilancio non è dei migliori; se si considera che la spesa pubblica tedesca è di 423 miliardi, mentre quella francese è di 271. Il raffronto, messo in evidenza dalla Relazione della Corte dei Conti al Parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali, sottolinea come "a parità di potere d’acquisto, la spesa italiana pro capite risulta meno della metà di quella della Germania": intorno ai 2200 euro per il nostro Paese, contro gli oltre 5000 di Berlino. In base ai dati elaborati "in Italia l’incidenza della spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil è stata pari al 6,8%, superiore di un decimo di punto a quella del Portogallo (6,7%) e di 1,7 punti rispetto alla Grecia (5,1%), ma inferiore di ben 4,1 punti a quella tedesca (10,9%), di 3,5 punti a quella francese (10,3%), e inferiore di mezzo punto anche a quella spagnola (7,3%)".
Se a causa delle liste d'attesa infinite e della riduzione degli investimenti nel settore pubblico, il 42% dei pazienti con redditi più bassi, fino a 15mila euro, è stato costretto a procrastinare o a rinunciare alle cure sanitarie perché impossibilitato ad accedere al Servizio sanitario nazionale, in molti hanno scelto di pagare l'assistenza sanitaria di tasca loro. Una spesa privata, al di fuori del SSN, di molto superiore a quella degli altri Paesi dell'Ue. Riprendendo sempre quanto affermato dalla Corte dei Conti: "Nel 2022, in Italia la spesa diretta a carico delle famiglie è stata il 21,4% di quella totale, pari ad un valore pro capite di 624,7 euro, in crescita del 2,10% rispetto al 2019, con ampi divari tra Nord (che spende mediamente di più) e Mezzogiorno. Confrontandola con quella dei maggiori paesi europei, a fronte del 21,4% di quella italiana, corrispondente, a parità di potere d’acquisto, a 920 dollari pro capite, l’out of pocket in Francia raggiunge appena l’8,9% del valore totale (corrispondente, per il 2021, 544 dollari pro capite), l’11% in Germania (882 dollari pro capite)".
L'arrivo del covid19 è stato uno spartiacque per la sanità italiana, tra luci e ombre. Dopo quasi un decennio di stagnazione del Fondo Sanitario Nazionale, dal 2020 la quota di investimenti statali è tornata a crescere. Con la pandemia però ad aumentare sono state anche le liste d'attesa, condizione che richiede lo stanziamento di fondi ad hoc per realizzare Piani operativi regionali così da ridurre i tempi di attesa. La Nota di Aggiornamento del Def per il 2023 presenta un valore di spesa per il SSN pari a 134,7 miliardi; per il triennio 2024-2026 le previsioni della Nadef ipotizzando risorse "specificamente destinate al recupero delle liste d’attesa (280 milioni per ciascun anno del triennio, destinati a finanziare gli incrementi delle tariffe orarie per le prestazioni aggiuntive del personale medico e del comparto sanità)".
Al di là dei confronti con gli Stati europei più virtuosi, il sistema sanitario nazionale segna risultati relativamente positivi, soprattutto in materia di qualità delle cure e tasso di mortalità. Quest'ultimo, infatti, risulta molto inferiore alla media Ocse; "tra gli indicatori di qualità delle cure quello relativo alla mortalità a 30 giorni dopo un attacco ischemico segnala valori più positivi per l’Italia (6,6% a fronte del 7,8% della media Ocse). Anche la qualità dell’assistenza primaria evidenzia valori nettamente migliori per l’Italia (214 ricoveri inappropriati per infarto acuto del miocardio ogni 100.00 abitanti, a fronte, in media, di 463 nei paesi Ocse); negli accertamenti preventivi, il 56% delle donne risulta avere aderito a screening per il cancro al seno, poco più della media Ocse (55%)".
Nonostante le performance positive a livello internazionale in relazione al tasso di mortalità, i divari regionali si fanno sentire, soprattutto se si guarda alla speranza di vita. La pandemia ha segnato sua una riduzione di circa un anno. Ma è il confronto tra nord e sud a segnare le difformità del sistema. In base a quanto si legge nella Relazione della Corte dei Conti: "la speranza di vita senza limitazioni nelle attività a 65 anni, pari, a livello nazionale a 10 anni, scende a 8,3 nel Mezzogiorno e a 7,8 nelle Isole, mentre nel Nord sale a 11,0 anni. Particolarmente critica appare la situazione della Regione Campania dove si osserva una causalità diretta tra stili di vita e situazione di multi-cronicità e limitazioni gravi tra le persone di oltre 75 anni che risulta del 66,5% rispetto a una media nazionale del 49%. In generale, la situazione di multi-cronicità grave risulta in media 12 punti superiore nel Mezzogiorno rispetto alle Regioni del Nord e 8 -10 punti superiore a quelle del Centro".