UNA RICERCA NOSTRANA

Sla, scoperta una proteina che "predice" l'aggravarsi della malattia

Secondo gli esperti, questa molecola potrà perfino stimare l'indice di sopravvivenza e aprire la strada verso nuove terapie

04 Apr 2017 - 11:16

Con un semplice prelievo di sangue si potrebbe predire in anticipo l'aggravarsi della Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) di un paziente e addirittura stimare l'indice di sopravvivenza. E' quanto emerge da una ricerca tutta italiana pubblicata sulla rivista scientifica Jama Neurology. Secondo gli esperti, questa proteina "potrà diventare strumento per predire precocemente la prognosi della malattia". La Sla in Italia colpisce oltre seimila persone.

Lo studio è stato condotto dal centro clinico NeMO in collaborazione con l'Ospedale Molinette di Torino. L'attenzione dei ricercatori si è focalizzata sulle proprietà della proteina C-reattiva.

"Questa proteina - spiegano gli scienziati - è normalmente prodotta dal fegato e dal grasso corporeo. Nella fase più acuta di alcune patologie, nei processi infiammatori e dopo gli interventi chirurgici è prodotta in misura superiore al normale, raggiungendo così una maggiore concentrazione nel sangue".

Il legame con lo stress - "In generale - aggiungono i ricercatori - l'aumento di questa sostanza nel sangue è associato a situazioni in cui l'organismo è sottoposto a forti stress". Lo studio ha individuato una relazione tra alte concentrazioni di proteina C-reattiva, il conseguente forte processo infiammatorio in corso nell'organismo e l'aggressività della Sla nei diversi pazienti. I dati hanno inoltre confermato che "ad alti livelli di questa proteina corrisponde un quadro clinico del paziente più grave, e che la sopravvivenza alla malattia in questi pazienti era più breve".

Verso nuove terapie - "Capire il ruolo dell'infiammazione nella progressione della malattia - ha detto Christian Lunetta, neurologo e primo autore dello studio - sarà fondamentale per i ricercatori che stanno lavorando a possibili terapie per il trattamento della Sla, perché proprio la modulazione dei suoi processi neuroinfiammatori potrà diventare una strategia terapeutica interessante da sviluppare". "E' importante però ricordare - ha aggiunto - che si tratta ancora di una ricerca e non di una terapia disponibile nell'attività clinica quotidiana, passo per il quale potrebbero essere necessari alcuni anni".

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