la città è sempre più causa di malattie

Stare bene non è più solo una questione privata: ecco l’Urban Health

L’intervista al professore Andrea Lenzi, coordinatore di HealthCity, il Think Tank che ha appena presentato il Manifesto “La salute nelle città: bene comune”

di Giuliana Grimaldi
11 Lug 2016 - 16:10

Già nel 1948, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definiva la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità”, ma oggi il concetto di benessere deve essere per forza ampliato: la salute non può essere considerata solo un “bene individuale”, ma è diventata un “bene comune” a tutti gli effetti, un investimento sul futuro, un obiettivo da perseguire sia da parte dei singoli cittadini, sia dei sindaci e degli amministratori locali. Sono queste le intenzioni dai cui muove il Manifesto “La salute nelle città: bene comune”, presentato l’11 e il 12 luglio a Roma nell’ambito di una due giorni di convegno.

A spiegare i contenuti di questo documento ai microfoni di Tgcom24 è Andrea Lenzi, Professore ordinario di endocrinologia, Presidente del Consiglio universitario nazionale (Cun) e coordinatore di HealthCity Think Tank, un gruppo di esperti indicati, tra gli altri, da Ministero della salute, Istituto superiore di sanità, Anci-Associazione nazionale comuni italiani, Università di Roma “Tor Vergata”, Istat, Censis, che si pone l’obiettivo di analizzare il contesto economico-sanitario, sociologico, clinico-epidemiologico e politico-sanitario, per studiare i fattori che generano la salute nelle città.

Cos’è il Manifesto “La salute nelle città: bene comune”?
“È un testo che delinea i punti chiave che possono guidare le città a studiare ed approfondire cosa genera salute o patologie nei contesti urbani e a fare leva su di essi per escogitare strategie per migliorare gli stili di vita e lo stato di salute del cittadino. Ogni punto del Manifesto contiene le azioni prioritarie per il raggiungimento di questo obiettivo, promuovendo, a partire dall’esperienza internazionale, partenariati pubblico–privato per l’attuazione di progetti di studio sull’impatto dei determinanti di salute nei contesti urbani”.

Perché è necessario stilare un Manifesto per ribadire un concetto, quello del diritto alla salute in tutte le sue forme, già contenuto nella Costituzione italiana?
“Non solo perché repetita iuvant, ma anche perché il contesto in cui ci troviamo è totalmente cambiato rispetto a un tempo. Cento anni fa solo il 20% della popolazione mondiale viveva in città. Attualmente 3,5 miliardi di persone vive nelle città, da qui al 2050 saremo 10 miliardi e di questi, il 70% abiterà nelle aree urbane. In Italia, quasi 4 cittadini su 10 risiedono nelle 14 città metropolitane, città che comunque, per quanto grandi come Roma, non sono minimamente paragonabili a centri come New Deli, Tokyo,Messico City, Teheran. E questo flusso di persone verso le aree urbane determina dei cambiamenti sostanziali dello stile di vita rispetto al passato: cambiano le abitudini, i lavori sono sempre più sedentari, l’attività fisica diminuisce. Fattori sociali, questi, che rappresentano un potente volano per le cosiddette malattie della società del benessere: obesità e diabete”.

L’OMS a questo proposito ha coniato le espressioni “healthly city” e di “urban health”. Cosa significano?
“Mi piace tradurre queste frasi con ‘città in salute’ perché considero la città come una sorta di organismo vivente, un insieme di persone che rinunciano a parte della propria libertà per il bene comune. Mi vengono in mente tanti film che mostrano come un incubo la città formicaio, con centinaia di palazzi degradati e luoghi super inquinati: per evitare tale scenario dobbiamo dare una impronta sociale diversa al modo con il quale amministriamo le realtà locali”.

In cosa dovremmo cambiare l’educazione sanitaria nei programmi scolastici?
“Un tempo dovevamo combattere con le malattie infettive o la mancanza di ospedali per cui gli insegnamenti sanitari erano del tipo “ricordati di lavare le mani”. Adesso invece siamo esposti ad altri fattori di rischio: l’inquinamento delle acque, l’inquinamento acustico e luminoso: in città non sentiamo più gli altri e non vediamo più le stelle”.

Quali comportamenti possiamo cambiare da subito per incrementare il nostro benessere individuale e collettivo?
“Per prima cosa dobbiamo ricordarci che la prevenzione inizia a meno nove mesi, prima ancora della nascita. Poi servono gli accorgimenti di buon senso e moderatezza: muoversi di più, mangiare in maniera qualitativamente migliore e in modo proporzionale al movimento che si fa, assumere alcol e caffè in modo proporzionato alla capacità umana di smaltire tali sostanze. E poi un ultimo consiglio: sviluppare un'educazione ai sentimenti nei confronti dell'altro, un'attenzione speciale all'altro: i casi di cronaca nera avvengono soprattutto in città perché di fatto non ci sentiamo e non ci parliamo veramente”.

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