Inaugurata nel 1895, è ancora oggi evento di riferimento per appassionati di arte e addetti ai lavori. Ecco tutto quello che c'è da sapere: dalle prime edizioni agli artisti più rappresentativi
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Non c'è appassionato d'arte che non conosca la Biennale di Venezia. L'esposizione internazionale d'arte, infatti, è considerata la più importante nel settore non solo in Italia ma in tutto il mondo. Esposizione dedicata soprattutto all'arte contemporanea, negli anni, si è aperta anche ad altri settori, dal cinema al teatro, passando per la musica, la danza e l'architettura. Ma quali sono le origini della Biennale di Venezia? Ecco un viaggio storico, dalle prime edizioni agli artisti più rappresentativi fino all'impatto sull'arte contemporanea.
Nata con una delibera dell'Amministrazione comunale del 19 aprile 1893 per celebrare le nozze d'argento del re Umberto e della regina Margherita di Savoia, la Biennale di Venezia venne inaugurata il 30 aprile del 1895. E il Palazzo della prima Esposizione fu costruito appena in tempo per la cerimonia. A questa prima Esposizione Internazionale d'Arte della città di Venezia (il nome Biennale arrivò in seguito per via della cadenza della manifestazione) i visitatori furono più di 200mila. E nel corso della prima edizione il "caso Grosso" sollevò scalpore. Era un quadro, Il Supremo Convegno, di Giacomo Grosso, che raffigurava una camera ardente allestita in una chiesa, e feretro e cadavere circondati da cinque figure femminili completamente svestite. Il Patriarca di Venezia Giuseppe Sarto (il futuro Papa Pio X) scrisse al sindaco chiedendo che l'opera non venisse esposta, ma il primo cittadino rispose che la commissione aveva deciso altrimenti. E la stampa clericale gridò allo scandalo.
Negli anni seguenti la Biennale aprì all'arte francese (1901), quindi alle arti decorative (1903) e a quella americana (1907). Ma bisogna attendere il 1910 perché le presenze internazionali diventino di rilievo, con una sala su Klimt e una personale di Renoir.
Dopo la Prima Guerra mondiale la Biennale si aprì quindi alle tendenze più innovative dell'arte, e nel 1920 vennero esposti Cézanne, Seurat, Redon, Matisse e Bonnard, una retrospettiva di Van Gogh e una di Hodler. Nel 1928 prese vita il primo Archivio della Biennale, denominato Istituto Storico d'Arte Contemporanea. Con Regio Decreto Legge 13-1-1930 n. 33, la Biennale venne trasformata in Ente Autonomo, e le modalità del finanziamento e lo Statuto vennero stabiliti con decreto nel 1931. Una trasformazione che fece sì che la Biennale passasse dal controllo del Comune di Venezia a quello dello Stato fascista. Già soffiavano venti di guerra, e così il numero di nazioni presenti alla manifestazione diminuì notevolmente, calando a sole 10 nel 1942. Le due edizioni del 1944 e del 1946 non ebbero invece luogo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Biennale riprese da dove era rimasta: la XXIV edizione del 1948, con Impressionismo francese e la rivisitazione delle Avanguardie, fu un successo. E lo stesso quelle del 1950 e 1952. Quindi con la direzione del nuovo Segretario Generale Gian Alberto Dell'Acqua, in carica dal 1958 al 1968, la Biennale contribuì significativamente alla diffusione dell’arte contemporanea.
I Sessanta furono anni di polemiche, sia per il gran numero di artisti sia per lo "strapotere della critica" che imponeva stili e mode. E dopo la Pop Art americana dell'edizione del 1964, quella del 1968 venne investita dalla contestazione, con disordini e proteste alle quali aderivano anche molti artisti.
Gli anni Settanta videro la revisione dello Statuto per adeguarlo ai tempi. Decisivo fu anche l'avvento di Carlo Ripa di Meana che, da presidente, dedicò l'intera edizione del 1974 al Cile: una grande protesta culturale nei confronti del dittatore Augusto Pinochet. Mentre l'edizione del 1977 passò alla storia come la Biennale del dissenso con la mostra su "La nuova arte sovietica: una prospettiva non ufficiale".
Negli anni Ottanta l'Esposizione d'Arte venne impostata su temi unitari: Arte come Arte (1982), Arte allo specchio (1984), Arte e scienza (1986). Quella del 1990, intitolata Dimensione futuro, ebbe la sua mostra centrale puntata su Berlino e sulla recentissima caduta del Muro. Ma anche le edizioni successive, per tutti gli anni Novanta, guardavano molto al futuro. Il 23 gennaio 1998 il Consiglio dei Ministri approvò in via definitiva il decreto legislativo di trasformazione in persona giuridica privata della Biennale di Venezia, ovvero in "Società di cultura La Biennale di Venezia". I settori di attività diventarono sei (architettura, arti visive, cinema, teatro, musica, e ora anche la danza). Una trasformazione che ha portato ai grandi successi anche degli anni recenti.
Nelle prime Biennali, nelle quali era stata piuttosto trascurata l'arte internazionale (e soprattutto quella francese), a parte alcuni casi è difficile trovare i nomi di grandi artisti. Fanno eccezione ad esempio il 1899, con l'esposizione della Giuditta II di Klimt, e la personale di Rodin nel 1901. La presenza internazionale diventa però di rilievo solo a partire dal 1910 con Klimt, Renoir Courbet e Monticelli.
Curioso è invece il rapporto della Biennale con un grande come Picasso. Nel 1905 il Segretario Generale Fradeletto fece levare dal padiglione spagnolo una sua opera, ritenendo che il pubblico potesse rimanere scandalizzato dal suo linguaggio artistico troppo innovativo. Solo nel 1948, con la retrospettiva curata da Guttuso, le opere di Picasso torneranno alla Biennale.
Altri grandi nomi dell'arte vengono esposti alla Biennale nel periodo tra le due guerre: Cézanne, Matisse, Van Gogh, Modigliani, Chagall, De Chirico, Gauguin, Tolouse-Lautrec, Monet, Manet, Degas, Renoir, Klee.
Il Dopoguerra si apre con il ritorno di Picasso e con la mostra della collezione di Peggy Guggenheim (136 opere di 73 artisti) presentata da Giulio Carlo Argan. E quindi arrivano gli artisti che rappresentano le nuove tendenze: uno su tutti, Jackson Pollock.
Negli anni Sessanta arriva alla Biennale la Pop Art americana, rappresentata nel 1964 da Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Jim Dine e Claes Oldenburg. Mentre nel 1966 dominano Lucio Fontana e le retrospettive dedicate a Umberto Boccioni e a Giorgio Morandi, scomparso mentre era in corso la vernice dell'Esposizione del 1964. Gli anni Sessanta si chiudono con nomi come Malevich, Duchamp, Calder, Rauschenberg, Gorky.
Negli anni Settanta alla Biennale giungono, in particolare per l'edizione del 1978, nomi come Kandinskij, Mondrian, de Chirico, Boccioni, Rauschenberg, Braque, Duchamp, Picasso. Negli anni Novanta arrivano alla Biennale Jeff Koons e Damien Hirst, Anish Kapoor e Marina Abramovic.
Dopo l'apertura dei padiglioni stranieri, le sale dedicate a Klimt e Renoir nel 1910, la Biennale si aprì all'arte francese. E così nel 1928 fu allestita la mostra sulla Scuola di Parigi con opere di Bissière, Chagall, Ernst e Zadkine, e nel 1930 la mostra Appels d'Italie curata da Mario Tozzi. E con il presidente Giuseppe Volpi di Misurata arrivano le mostre all'estero e i festival internazionali: il Festival della Musica (1930), il Festival del Teatro (1934), e l'Esposizione Internazionale d'Arte Cinematografica (1932).
Dopo lo stop imposto dal periodo bellico, il 1948 segna il "ritorno" di Picasso alla Biennale, con la grande retrospettiva curata da Guttuso. E la storica mostra della collezione Peggy Guggenheim curata da Giulio Carlo Argan: con queste due storiche mostre la Biennale entra nel vivo del dibattito sull'arte contemporanea grazie alla presenza di tutte le tendenze estremiste, dal cubismo al surrealismo.
Quella del 1964 fu l'edizione dell'avvento clamoroso della Pop Art Americana, che ridiede vitalità alla Biennale con una mostra collaterale di artisti pop progettata e realizzata nell'ex consolato statunitense, a San Gregorio. Il clamore che la Pop Art suscitò nella critica e nella stampa europee mise in ombra le altre mostre che componevano l'edizione di quell'anno.
Alla Biennale nel 1972 10mile farfalle furono liberate da una grande cassa di legno in Piazza San Marco, mentre Gino De Dominicis "espose" un ragazzo affetto da sindrome di Down con appeso al collo un cartello: "Seconda soluzione di immoralità: l'universo è immobile". L'opera suscitò scandalo, e le proteste per "tanto cinismo" provocarono interrogazioni parlamentari. Nel 1974 passò invece alla storia l'edizione interamente dedicata al Cile con mostre di manifesti, spettacoli teatrali e concerti come protesta culturale nei confronti del dittatore cileno Pinochet. E molti pittori italiani e stranieri, tra i quali il cileno Sebastian Matta ed Emilio Vedova, riempirono i campi veneziani con murales inneggianti alla libertà del popolo cileno. Quella del 1977 passò invece alla storia come la Biennale del dissenso.
A suscitare attenzione e polemiche nel 1990 furono invece le opere della sezione Aperto alle Corderie. Esponenti ecclesiastici protestarono per un lavoro del gruppo americano Grand Fury sul tema dell'Aids, mentre gli ambientalisti contestarono un'opera che esponeva formiche vive. E con una scultura policroma a grandezza naturale, l'americano Jeff Koons si ritraeva insieme alla moglie Ilona Staller. La mostra venne poi chiusa per accertamenti sanitari sul sezionamento di una carcassa di mucca da parte dell'inglese Damien Hirst.
Nonostante le origini antiche, la Biennale di Venezia influenza ancora oggi l'arte contemporanea. Tra gli esperti del settore, infatti, continua a essere un evento di riferimento sia per il prestigio acquisito negli anni, sia perché considerata da pubblico e addetti ai lavori voce autorevole sulle nuove tendenze artistiche e una delle più importanti vetrine internazionali sull'arte. Proprio la Biennale, infatti, è considerata voce autorevole nel riconoscere nuovi artisti emergenti e, di anno in anno, aumenta il numero di nazioni partecipanti all'esposizione.