Caporalato

Nel 1989 il primo caso di un bracciante morto, vittima di sfruttamento: che cosa è cambiato in 35 anni

Trentacinque anni fa, italiani e immigrati scendevano in piazza per la prima volta contro lo sfruttamento dei lavoratori. Le inchieste mostrano come il fenomeno oggi riguarda tutta l'Italia e diversi settori dell'economia

21 Giu 2024 - 12:42
 © ansa

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"Prima o poi qualcuno di noi verrà ammazzato e allora ci si accorgerà che esistiamo", era il 1989 quando il bracciante sudafricano Jerry Essan Masslo pronunciò queste parole durante un’intervista per Nonsolonero, una rubrica del Tg2 che raccontava le condizioni degli immigrati irregolari. La sua testimonianza fu profetica: il 25 agosto di quell’anno Masslo fu ucciso nel capannone che condivideva con altri stranieri impegnati nella raccolta dei pomodori a Villa Literno, in Campania. Il suo caso ebbe i caratteri dell’evento atteso. Mostrò per la prima volta all’opinione pubblica e alla politica la grande emarginazione in cui vivevano i braccianti stranieri. Trentacinque anni dopo, però, il caporalato e lo sfruttamento fanno ancora vittime, nonostante alcune leggi adesso facciano emergere sempre di più il fenomeno.

All'indomani della morte del bracciante sudafricano, in Italia, si scatenò una reazione di massa che sollecitò alcuni cambiamenti importanti nelle leggi che regolavano l'immigrazione. Furono organizzati la prima grande manifestazione contro il razzismo e il primo sciopero di immigrati contro il caporalato riconducibile alla Camorra.

Le leggi sull'immigrazione

Nel 1990 fu emanata la legge Martelli, che superava alcuni limiti della legge Foschi. Riconobbe agli immigrati extraeuropei lo status di rifugiato, eliminando la cosiddetta “limitazione geografica”. A causa di questo cavillo lo Stato aveva negato a Masslo l'asilo, nonostante fosse fuggito dall’apartheid e dalle violenze in Sudafrica, a seguito del colpo di Stato del 1987.

Nel ‘92 arrivò anche la legge sulla cittadinanza, che ancora oggi crea pareri contrastanti. Secondo questa norma, si diventa connazionali per ius sanguinis (diritto di sangue), ossia ereditando la cittadinanza dei genitori. I lavoratori immigrati nel nostro Paese la possono acquisire invece dopo una residenza legale continuativa di almeno 10 anni.

Va ricordato che quando fu emanata la sensibilità degli italiani stava già iniziando a cambiare. Nell’agosto dell’anno prima le immagini dello sbarco di massa a Bari dei 20 mila albanesi stipati nella nave Vlora avevano seminato una certa sensazione di "invasione" dello straniero, che negli anni successivi verrà cavalcata da alcuni partiti fino a fare dell’immigrazione un tema centrale di qualsiasi campagna elettorale come lo è tuttora.

La legge Turco-Napolitano del 1998 non aveva la riforma della legge sulla cittadinanza, della quale si era parlato molto. Infine, la legge Bossi-Fini, del 2002 e ancora in vigore, introdusse nuove restrizioni come: il rilascio del permesso di soggiorno legato a un lavoro effettivo, i respingimenti dei migranti in acque extra-territoriali e le espulsioni con accompagnamento alla frontiera. La legge Cutro, attuata dall'attuale governo, ha rafforzato il principio per cui un immigrato può entrare solo con un permesso di soggiorno lavorativo e secondo un piano di flussi triennale legato alle richieste dei datori di lavoro italiani.

Nonostante questo, come è emerso in diverse inchieste, le organizzazioni criminali riescono a sfruttare la legge per far entrare stranieri, che una volta arrivati, nella stragrande maggioranza dei casi, non sottoscrivono un contratto di lavoro e rimangono dunque senza permesso di soggiorno. Dei posti messi a disposizione nel 2023, in Italia solo il 23,52% si è trasformato in permessi di soggiorno e impieghi stabili e regolari. Tutti gli altri stranieri, se rimangono sul territorio, sono in balia dei caporali.

Le inchieste contro il caporalato e lo sfruttamento

Il punto di arrivo di quella lenta presa di coscienza che partì con il caso Masslo è la legge 199 del 2016, conosciuta come “legge anticaporalato”. Dall’anno dell’approvazione al 2023 ci sono state 834 inchieste sullo sfruttamento dei lavoratori, avviate da 66 procure sparse in tutta Italia. È quanto emerge dall’ultimo rapporto del Laboratorio sullo sfruttamento lavorativo e la protezione delle sue vittime, elaborato dal Centro di ricerca interuniversitario l’Altro Diritto, insieme all’Osservatorio Placido Rizzotto di Flai-Cgil. Al Sud, lo sfruttamento si concentra soprattutto in settori come agricoltura e allevamento, mentre al Centro spicca il secondario, in testa il manifatturiero, e al Nord il comparto dei servizi. Quasi nel 79% delle inchieste le vittime sono titolari di un permesso di soggiorno, a smentire l’idea che basti la regolarità dei documenti a dare la garanzia di migliori condizioni.

Secondo l’Istat, il lavoro irregolare è all’11% con percentuali più alte in agricoltura, dove lavora in nero quasi un quarto della forza lavoro. Nell’ambito domestico si arriva a più di un caso su due. Sebbene il fenomeno non riguardi solo gli immigrati, sono loro il principale bacino da cui pescano imprenditori e caporali: nell’86% delle inchieste sullo sfruttamento le vittime erano degli stranieri. Gli immigrati si collocano maggiormente nei settori meno retribuiti e più soggetti a irregolarità: cura, agricoltura, ristorazione, ricettivo ed edilizia. Nel 2022, la retribuzione media annua degli occupati a tempo indeterminato è stata di 19.251 euro per gli extracomunitari: oltre 8mila in meno rispetto al totale dei lavoratori. L’emarginazione in cui ancora spesso vivono favorisce fenomeni come il caporalato, ossia l’intermediazione tra dipendenti e imprenditore per il reclutamento e l’organizzazione illegale della manodopera di questi lavoratori, ingaggiati irregolarmente o con forme di lavoro “grigio” (quando il dipendente risulta occupato, ma i suoi diritti sono comunque violati).

Alcuni casi del 2024

Il 19 giugno un bracciante, a Latina, è morto dopo che il suo braccio era stato amputato due giorni prima da un macchinario agricolo. Il 31enne indiano, Satnam Singh eil, lavorava in nero: il permesso di soggiorno in tre anni non era mai arrivato. Pare che lavorasse nei campi 12 ore al giorno per cinque euro l'ora. Il titolare, dopo l'incidente, l'ha accompagnato a casa anziché in ospedale. Il giovane indiano, ha perso troppo sangue nei circa 90 minuti che sono trascorsi prima di essere soccorso da un'ambulanza. Per questo non ce l'ha fatta e ha lasciato sola la moglie 26enne, anche lei impiegata irregolarmente sugli stessi campi.

Tra i casi più emblematici del 2024, c'è anche l’arresto di due intermediari in Puglia, che secondo l’accusa costringevano i braccianti a lavorare per sette ore sotto il sole d’estate, senza pause e spesso senza servizi igienici, con paghe ben al di sotto dei minimi contrattuali: circa 4,60 euro l’ora, al posto degli 11 previsti dalla legge per il settore.

Il caporalato, però, non riguardano solo il Sud e il Centro. L'agricoltura non è l'unico settore coinvolto. Le inchieste mostrano come soprattutto al Nord il fenomeno dello sfruttamento riguardi anche l'alta moda milanese. Dopo Alviero Martini e Giorgio Armani Operations, il Tribunale di Milano ha disposto l'amministrazione giudiziaria nei confronti di Manufactures Dior, per risolvere i problemi nei rapporti con le imprese fornitrici e relativi subappalti. Le borse sarebbero state prodotte da operai cinesi sfruttati negli opifici milanesi e brianzoli.

Secondo i magistrati, la Manufactures Dior srl non avrebbe verificato il corretto rispetto delle norme sul lavoro e quindi sarebbe stata incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento che le hanno permesso di massimizzare i profitti risparmiando sul costo della manodopera, sulla sicurezza dei dipendenti e sulle procedure fiscali.

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