Quello della povertà educativa è un tema che affligge da anni il nostro Paese. Già prima della chiusura prolungata delle scuole, quasi il 15% degli studenti usciva dal sistema scolastico in anticipo.
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Si torna finalmente in classe. Nei prossimi giorni, quasi tutti gli studenti delle superiori (tranne in Sicilia, dove si è deciso di posticipare le riaperture all'8 febbraio) riprenderanno confidenza con la scuola in presenza. Una delle incognite più grandi sarà quella di valutare i 'danni' prodotti da quasi dodici mesi (salvo poche settimane di lezioni 'dal vivo' tra fine settembre e fine ottobre) di didattica a distanza, con tutte le criticità del caso: arretratezza tecnologica delle famiglie, disorganizzazione delle scuole, distrazione, ecc.
In tanti, nel frattempo, per le ragioni più varie potrebbero essersi persi per strada. Anche perché, quella dell'abbandono degli studi, è una criticità che aleggia da sempre sul nostro Paese. In Europa, nonostante i progressi degli ultimi anni, siamo tra i peggiori nel garantire ai nostri ragazzi un titolo di studio sufficiente (la maturità o una qualifica professionale) per entrare con un minimo di prospettiva nel mondo del lavoro. Ce lo dicono gli ultimi dati ufficiali sulla dispersione scolastica in Italia diffusi dalla Commissione Europea.
In troppi mollano prima del tempo
Così come riporta un'analisi del portale Skuola.net, secondo quanto emerge dalla Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione per il 2020, la percentuale di giovani nella fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni che abbandonano precocemente l'istruzione e la formazione (ovvero che come titolo di studio si fermano alla terza media e dintorni) – il cosiddetto indice ELET, Early leavers from education and training - è stata del 13,5%. Numeri peraltro relativi al 2019, ovvero prima dello scoppio della pandemia, a cui si dovrebbero aggiungere quelli sulla non trascurabile 'dispersione implicita' (certificati dalle prove INVALSI). Inoltre, è vero che la curva della povertà educativa presente in Italia (analizzata nel momento chiave del passaggio dall'adolescenza all'età adulta) dal 2009 ad oggi è in picchiata verso il basso: rispetto al 2018 (quando era al 14,5%) è in calo di un punto percentuale e di quasi sei punti rispetto a un decennio fa (nel 2009 era al 19,1%). Ma ciò non basta a tranquillizzare, specie se facciamo un confronto con i nostri vicini di casa.
Lontani anni luce dagli standard europei
Siamo comunque ben lontani dal parametro di riferimento previsto dall'Unione Europea per il 2020 (10%); seppur molto meglio dell'obiettivo indicato per noi dalla stessa UE, comunque poco ingaggiante (16%). La nostra situazione di partenza era talmente drammatica che a Bruxelles ci hanno assegnato un punto di arrivo comunque al di sopra dell’obiettivo comunitario. Molto probabilmente questa generosità ci servirà in questi mesi, quando dovremmo fare i conti con gli effetti della pandemia sull’abbandono scolastico.
In Europa pochi fanno peggio di noi
Come detto, però, a preoccupare di più è il confronto con il resto d'Europa. Peggio di noi fanno solo quattro nazioni: Spagna, Malta, Romania (che sfondano il tetto del 15%) e Bulgaria (più o meno sui livelli dell'Italia, al 14,6%). Inoltre, ci sono Stati che solitamente ci fanno compagnia (in negativo) nelle classifiche di rendimento nei vari settori produttivi che, in questo caso, fanno molto meglio di noi: è il caso, ad esempio, del Portogallo (11%) e soprattutto della Grecia (4%). E poi, come anticipato, c'è il tema della distanza dalla quota base individuata dall'Unione che impedisce di guardare con ottimismo al prossimo futuro (quel 10% di abbandono precoce che è lontano anni luce). Non tanto a livello generale quanto se entriamo nei vari territori e segmenti sociali.
Emergenza Sud
Le nette differenze che puntualmente si registrano tra le regioni d'Italia, sul capitolo istruzione non solo si confermano ma si amplificano ulteriormente. Se, infatti, nel Nord-Est l'obiettivo europeo si può dire raggiunto (l'indice ELET si ferma al 9,6%) al Sud la media schizza al 16,7%. Con, nel complesso, i maschi che hanno più probabilità delle ragazze di abbandonare la scuola prima del tempo (il 15,4% contro l'11,3%). Anche se i più a rischio sono nettamente gli alunni nati all'estero: il tasso di dispersione scolastica precoce qui copre circa 1 alunno su 3 (il 32,5%), quasi il triplo rispetto a quello di chi è nato in Italia (11,3%), notevolmente superiore anche alla media UE (22,2%).
La dispersione 'implicita' non va sottovalutata
“Se ciò non bastasse, ci sono anche quelli che pur andando avanti nelle classi e avendo formalmente in mano il famoso 'pezzo di carta', di fatto non hanno nel proprio bagaglio culturale gli strumenti che dovrebbero essere posseduti con quel tipo di livello d'istruzione”, segnala Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net. “A scovarli - prosegue Grassucci - “ci possono aiutare le prove INVALSI: soffermandoci proprio sugli ultimi esiti disponibili per l'ultima classe delle superiori (risalenti al 2019) ci si accorge che molti maturandi arrivano a malapena ai traguardi minimi previsti per la terza media, come se cinque anni di superiori non fossero serviti a niente. Ecco, volendo fare una stima di quanti si trovino in questa situazione, lo stesso Istituto INVALSI parla di circa un 7% di studenti. Che, sommati ai 'dispersi' ufficiali, potrebbero portare la pattuglia oltre il 20%, più di 1 giovane su 5”.
Che succederà dopo la pandemia?
Statistiche che, va ribadito, si fermano a prima delle pandemia. Gli INVALSI 2020 di quinto superiore non si sono svolti proprio causa-Covid. L'Unione Europea, dal canto suo, deve ancora produrre la relazione 2021 che andrà a rendicontare quanto accaduto nel 2020 Cosicché, al momento, si possono solo intuire quanti e quali effetti negativi produrranno l'emergenza sanitaria e la chiusura prolungata delle scuole sull'avvenire dei ragazzi italiani e, di riflesso, sulle prospettive future dell'Italia intera. Visto che si andranno a poggiare su un terreno già di per sé fragile.