Anche i giovanissimi, specie dopo la pandemia, sono sempre meno abituati a confrontarsi con il contesto sociale che li circonda
Il primo lunedì di ora legale sonnolenza e mancanza di concentrazione sono all'ordine del giorno. © istockphoto
Anche le mie ansie hanno l’ansia. Un aforisma che riassume perfettamente la condizione di un numero crescente di adolescenti, alle prese con un malessere provocato dal “dover dimostrare qualcosa” agli altri. Oltre 6 giovanissimi su 10, infatti, sostengono di soffrire di una qualche forma di disagio dovuto proprio al contesto in cui vivono. Da cui poi scaturiscono attacchi di panico, alterazione delle abitudini alimentari e del ritmo sonno-veglia, difficoltà di concentrazione nello studio e così via. Un terreno fertile su cui proliferano irrequietezza, solitudine, rabbia verso sé o verso gli altri, con la conseguente necessità di “anestetizzarsi” per non pensare: fuga nel digitale - tra videogiochi, film, serie tv e social media - ma anche gesti estremi e ricorso a qualsiasi cosa permetta di staccare la spina almeno per un po’. A lanciare l’allarme è una ricerca condotta da Skuola.net assieme al team di psicologi e psicoterapeuti dell’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, GAP, Cyberbullismo), su un campione di 3.062 ragazze e ragazzi tra gli 11 e i 19 anni.
La socialità non è fonte di svago ma di stress
Il momento più complicato, quello in cui l’ansia esce allo scoperto, è abbastanza scontato: è quello in cui ci si deve confrontare con gli altri. Oltre la metà degli intervistati (57%), quando deve frequentare situazioni sociali con molte persone ammette di sentire spesso, se non sempre, un senso di turbamento. Ancora peggio se si è chiamati a partecipare attivamente: in questo caso il dato sale al 61%. Ecco perché quasi tutti quelli che percepiscono questo tipo di disagio (50% del campione totale) finiscono puntualmente per evitare di partecipare a questi momenti “collettivi”.
A scuola le cose peggiorano ulteriormente
Ovviamente la scuola, luogo del confronto per eccellenza per gli adolescenti, non fa eccezione. E’ ben il 56% che sostiene di essere preoccupato o timoroso quando si trova al centro dell’attenzione di compagni o insegnanti, come ad esempio nel caso delle interrogazioni e dei dibattiti in classe. Ancora di più (67%) vivono particolarmente male il fatto di doversi misurare con voti e giudizi. Per questo, circa un terzo (34%), quando è a scuola il più delle volte vorrebbe scappare via; per 1 su 10 questa sensazione è costante. Per quasi 2 intervistati su 5, poi, il malessere si trasferisce dal piano mentale a quello fisico.
Il corpo e la mente ne risentono
Perché i ragazzi di oggi, forse più di chi li ha preceduti, anziché “scaricare a terra” tutto questo carico d’ansia ed esternarlo, somatizzano tantissimo. A 3 adolescenti su 4 capita di sentirsi spesso o sempre molto arrabbiati con sé stessi, al 57% si essere molto arrabbiati con gli altri. Il 63% degli adolescenti, invece, è frequentemente in preda alla solitudine, la stessa percentuale (63%) si fa attanagliare spessissimo dalla tristezza. Mentre il 55% ammette di provare spesso o sempre un senso di irrequietezza.
Un turbine di emozioni negative che, nei casi più gravi, si tramuta in veri e propri attacchi di panico: il 52% ha raccontato di averne avuto almeno uno; al 39% gli è capitato mentre si trovava a scuola o nel tragitto casa-scuola; al 31% poco prima di partecipare a una situazione sociale.
Ma il senso di disagio ha effetti negativi anche sulle abitudini quotidiane. Oltre 6 su 10, tra gli intervistati, hanno raccontato che spesso e volentieri fanno fatica ad addormentarsi la sera. Oppure di sentirsi molto stanchi anche quando dormono il giusto. Al 42%, invece, capita spesso (o sempre) di mangiare molto poco o di non avere fame. Il 50%, al contrario, tende a rifugiarsi nel cibo senza percepire il senso di sazietà. L’equilibrio, dunque, è un privilegio per pochi.
Quanta fatica per portare a termine le giornate
Ancora una volta, gli impegni scolastici non sono esenti. Anzi, in quelle occasioni lo stravolgimento si amplifica. L’82% degli adolescenti raggiunti dall’indagine ha dichiarato che spesso o sempre non riesce a concentrarsi a dovere nello studio e, per questo, di non riuscire a portare a termine i compiti che gli vengono assegnati. All’84%, invece, capita di avere la sensazione che il tempo a sua disposizione per studiare sia il più delle volte insufficiente.
Una delle conseguenze di un tale approccio, è che il 70% molto spesso o addirittura sempre preferisce rinunciare del tutto allo studio per dedicarsi ad attività virtuali. La “fuga nel digitale” è, infatti, un espediente molto adottato dagli adolescenti per smarcarsi da un realtà che gli provoca malessere. Non solo sei si tratta di dover studiare. Il 64% si immerge spesso o sempre in videogames, social o serie tv per “non sentire” e “non pensare”.
“Ancora una volta - sottolinea Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, Presidente dell'Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo “Di.Te” - i dati ci raccontano di quanto la salute mentale dei giovani sia in un momento di criticità. E il contesto scolastico, che dovrebbe essere un ambiente di apprendimento e crescita, sembra purtroppo contribuire a questo malessere. È essenziale adottare un approccio che promuova l'inclusione e la resilienza, evitando di utilizzare sistemi di valutazione che mettano in discussione l'autostima degli studenti. È necessario fornire un feedback costruttivo e non distruttivo, che possa aiutare gli adolescenti a sviluppare una visione equilibrata di sé stessi e delle proprie capacità. È evidente che sia fondamentale intervenire a vari livelli per affrontare questa situazione. Gli adolescenti hanno bisogno di supporto emotivo, di opportunità per esprimere le proprie emozioni e di spazi sicuri in cui poter affrontare le sfide sociali. È fondamentale coinvolgere i professionisti della salute mentale e dell'istruzione per creare un ambiente che favorisca sia la crescita cognitiva che quella emotiva. La scuola non è solo didattica e apprendimento ma in primis uno spazio relazionale”.
“Per rendere - ribadisce Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net - la scuola sempre più inclusiva, anche nei confronti delle crescenti ingerenze familiari, abbiamo reso il sistema di valutazione degli studenti assolutamente schizofrenico: dal “vogliamoci bene” delle elementari alla “strage degli insufficienti” alle superiori. Se, ad esempio, guardiamo i dati sulle bocciature, sembra che il sistema cerchi di portare quanti più studenti possibile verso il traguardo dell’obbligo scolastico dei 16 anni, senza tuttavia curarsi di abituarli, progressivamente, a una riflessione seria del livello di crescita”.