Ventottenne universitario pretende dal padre una paghetta mensile, e li ottiene grazie al parere favorevole della Suprema Corte.
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La paghetta può diventare materia di discussione in Tribunale? Sembra proprio di si. Il portale Skuola.net segnala la singolare vicenda di un padre e un figlio che si sono ritrovati a discutere di fronte ad un giudice dei 450 euro di paghetta reclamati dal giovane studente privo di lavoro. Il genitore, oppostosi a tale richiesta, ha dovuto arrendersi a sborsare questa considerevole cifra di fronte alla sentenza di una Cassazione favorevole alla richiesta del giovane.
UNA PAGHETTA DA 450 EURO Da sempre la paghetta è motivo di litigio tra genitori e figli. Chi non ha mai chiesto qualche spicciolo in più per uscire con gli amici o fare quell’acquisto da tanto desiderato? Adesso a venire in soccorso dei ragazzi ci pensa la Cassazione. Tutto parte da uno studente siciliano che ha deciso di portare il padre in Tribunale a causa del rifiuto di quest’ultimo di versargli mensilmente una paghetta da 450 euro. Infatti il giovane, nonostante i 28 anni di età, non aveva altre fonti di sussistenza frequentando ancora i banchi universitari ed essendo, inoltre, sprovvisto di lavoro.
L’ITER GIURIDICO - Se la Prima Sezione Civile aveva bocciato il ricorso del genitore che proprio non voleva saperne di elargire al figlio la generosa paghetta, mantenimento impostogli dal giudice di appello, il Tribunale aveva però appoggiato in primo grado la posizione del padre. Infatti il ventottenne, secondo il giudice, era colpevole di non aver ancora conseguito la laurea, nonostante l’età ormai adulta, e quindi anche di non aver raggiunto l’indipendenza economica. Poi il 7 maggio del 2009, la giustizia si è schierata nuovamente dalla parte del giovane, condannando il padre al mantenimento del figlio. La causa di tale decisione è stata rintracciata nella mancata dimostrazione della effettiva “colpevole inerzia” del ragazzo nell’ottenimento dell’indipendenza economica.
IL VERDETTO PRO BAMBOCCIONE - Il genitore, tuttavia, non si è rassegnato all’obbligo di versare le centinaia di euro mensili al figlio scapestrato e bamboccione, e così ha fatto ricorso in Cassazione, avvalendosi della prova che il giovane aveva impiegato sei anni, anziché tre, per laurearsi e, oltre questo, aveva anche rifiutato diverse possibilità di lavoro. Ma l’epilogo della vicenda si è sciolto in favore del ventottenne. Infatti la Cassazione ha respinto il ricorso del genitore affermando che “il mero raggiungimento del titolo di studio non dimostra il raggiungimento dell’indipendenza economica”. Il padre, oltre alla considerevole paghetta mensile, ha dovuto sborsare anche 2.200 euro di spese. Insomma, oltre il danno, la beffa.