Per la stragrande maggioranza di loro il dialogo è sullo studio. Per questo l’idea di vietarle le chat tnon piace ai ragazzi: meno di 1 su 10 sarebbe a favore del blocco. Ma qualche regola servirebbe
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Molto presenti nella quotidianità degli studenti ma, non per questo, considerate invadenti. Eventualmente, solo da regolamentare un po' meglio. Anche se l'uso che ne viene fatto, perlomeno stando al racconto dei 2.000 alunni di scuole medie e superiori intervistati dal portale Skuola.net, sembra essere già decisamente "misurato". Stiamo parlando delle tanto discusse chat scolastiche, finite di recente al centro del dibattito pubblico sull’opportunità di abolirle o quantomeno di normarle. Il fenomeno, in effetti, esiste eccome: in media ben 6 studenti su 10 affermano di avere attiva una chat social “di classe” con almeno un docente. E, tra questi, una fetta consistente - circa 4 su 10 - ha presente nella lista delle conversazioni del proprio smartphone la maggior parte (19%) se non tutti (20%) i professori. Ma, come vedremo, questo quadro non dovrebbe far partire particolari allarmi.
Per gli alunni più grandi la chat col docente è quasi scontata
Peraltro, molto dipende dal livello scolastico. Il filo diretto insegnanti-alunni diventa man mano più solido solo al crescere dell’età: all’ultimo triennio delle superiori, infatti, la questione riguarda quasi 8 studenti su 10, la metà dei quali intrattiene dialoghi informali con gran parte dei docenti. Alle scuole medie, invece, la quota di alunni che parlano direttamente con gli insegnanti in chat di classe scende al 40% e, spesso, il numero di docenti in elenco è più limitato rispetto a quanto avviene alle superiori.
Quando la chat c’è, però, la partecipazione è massima, alle medie come alle superiori. L’elenco dei membri, infatti, quasi sempre rispecchia la composizione dell’aula: in 9 casi su 10 sono presenti nella lista tutti i membri della classe. Insomma questi ambienti digitali, sulla carta aggregazioni informali, quando ci sono diventano dei veri e propri strumenti che regolano le comunicazioni tra studenti e docenti, che in teoria dovrebbero svilupparsi su canali istituzionali.
Poco spazio alle faccende private
Perché in queste chat di classe si possono trovare informazioni davvero importanti. E il plurale non è da intendersi solo in senso collettivo: di solito (in 8 casi su 10) ci sono più chat di classe, una per ogni docente/materia. I professori, diversamente da quel che pensano i detrattori di questi strumenti, sembrano infatti usare le conversazioni social quasi esclusivamente per esigenze strettamente legate alla vita scolastica: il più delle volte all’interno dei messaggi gli studenti trovano avvisi su lezioni e compiti, molto gettonato pure lo scambio di materiali didattici, ma la chat viene spesso trasformata anche in una sorta di “helpline” con cui i docenti provano ad aiutare i ragazzi quando hanno dubbi o difficoltà sui programmi. Alla fine, appena 1 ragazzo su 10 riporta che la chat viene utilizzata anche per discutere di tematiche non inerenti la scuola.
Inoltre, numeri così evidenti non si traducono, come invece sovente accade nel mondo dei social, in una serie infinita di messaggi e contro-messaggi. Da un lato, i docenti usano le chat solo per comunicazioni urgenti o strettamente indispensabili: in 2 casi 3, può capitare che un professore non scriva nulla per una settimana intera; appena il 5% riceve come minimo una notifica al giorno. Dall’altro, anche gli studenti adottano un approccio consapevole: il livello di reazione è elevato - ai messaggi degli insegnanti, o perlomeno a quelli considerati più importanti, si risponde subito - mentre è più raro che la conversazione parta dai ragazzi (solo in 1 caso su 3 avviene spesso) e, comunque, quasi sempre per questioni “scolastiche”.
Le chat individuali? Esistono ma vengono usate con criterio
Così come le tanto demonizzate chat “individuali” - tra docenti e singoli alunni - sulla carta non destano particolari preoccupazioni su possibili di divagazioni dallo scopo principale della relazione tra le due parti. E’ vero che sono abbastanza diffuse anche quelle - solo nell’ultimo anno scolastico quasi 2 studenti su 3 dicono di aver intrattenuto conversazioni private con almeno un insegnante, circa 1 su 3 con la maggior parte del corpo docente - ma è anche vero che, ancora una volta, la scuola è al centro dei discorsi: si chiedono approfondimenti, consigli sull’orientamento post diploma, ci si confronta per risolvere attriti con gli altri compagni; quasi mai si parla di argomenti extrascolastici (12%) o di questioni private (10%).
No ai divieti, sì alle regole
Partendo da queste premesse, dunque, non ci si stupisce che l’eventuale divieto per studenti e docenti - già messo in pratica da alcuni presidi - di comunicare al di fuori dei canali ufficiali della scuola non verrebbe accolto con favore dai ragazzi: appena 1 su 10 approverebbe. Per la maggior parte degli intervistati (56%), al contrario, sarebbe una decisione assolutamente sbagliata, ritenendo le chat uno strumento molto utile; mentre il 36%, per evitare eventuali usi distorti, si limiterebbe a introdurre delle regole ufficiali chiare.
“Dobbiamo essere consapevoli che le chat di classe tra studenti e docenti non sono un’eccezione ma una regola, soprattutto tra i più grandi. Infatti, se alle medie solo 4 alunni su 10 messaggiano direttamente con i docenti, all’ultimo triennio delle superiori il fenomeno ne coinvolge 8 su 10. E nella maggior parte dei casi è attiva la gran parte dei docenti della classe, ognuno con la propria chat dedicata alla sua materia. La pandemia non ha fatto che incentivare il ricorso all’online per poter dialogare con gli altri, anche per quanto riguarda la scuola. Gli studenti, questo, lo percepiscono bene. Per loro è perfettamente normale chiedere chiarimenti o consigli tramite le chat. Probabilmente lo strumento abbatte anche un’iniziale timidezza nel confrontarsi con l’insegnante. - commenta Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net - Certo è che, come in tutto, c’è bisogno della giusta misura. I dati ci dicono che i nostri professori e studenti la conoscono. L’eccezione tuttavia esiste e l’idea di una regolamentazione che renda chiaro quali siano i limiti, senza arrivare a soluzioni estreme, è forse quella più saggia”.