Le tredicenni italiane si distinguono a livello internazionale nelle competenze digitali, superando i coetanei e sfatando gli stereotipi. Ma in Italia rimangono i gap territoriali e legati al contesto socioeconomico. In generale ottime performance per i nostri studenti, con risultati oltre la media
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Nativi digitali di nome e di fatto. Sono i tredicenni italiani, soprattutto se si tratta di ragazze, che riscuotono ottimi risultati nelle competenze digitali e nel pensiero computazionale. E per una volta non siamo fanalino di coda di una classifica internazionale, in questo caso l’indagine ICILS (International Computer and Information Literacy Study), promossa dalla IEA (International Association for the Evaluation of Educational Achievement).
Le buone notizie non finiscono qui: superiamo in alcuni aspetti anche la media internazionale e ci miglioriamo rispetto al passato, inoltre le nuove generazioni iniziano a smentire il preconcetto che l’information technology sia una “roba da maschi”. Restano i “soliti” divari di matrice essenzialmente sociale: il Nord fa meglio del Sud, chi ha una famiglia con tanti libri a casa fa meglio degli altri, chi proviene da un contesto agiato spicca più facilmente.
Abilità informatiche e pensiero computazionale: ecco il cuore della ricerca
Ma andiamo con ordine. L’indagine, come riporta il portale Skuola.net, misura essenzialmente due parametri. Da una parte le competenze digitali (CIL), ovvero la capacità degli studenti di utilizzare il computer per fare ricerche, creare e comunicare. Dall’altra il pensiero computazionale (CT), cioè il padroneggiare quei processi necessari per capire come i computer possono aiutarci a risolvere i problemi.
Tornando alle performance dei nostri ragazzi, questi raggiungono un punteggio medio pari a 491 sulla scala di CIL, a fronte di un punteggio medio internazionale di 476 punti. Siamo, dunque, in vantaggio rispetto a tanti altri Paesi. Per quanto riguarda, invece, il pensiero computazionale, il risultato è stato pari a 482, stavolta perfettamente in linea con la media internazionale.
Il Paese va sempre a due velocità: il Nord vola, il Sud arranca
La panoramica non risulterebbe completa, però, se non si approfondissero i “gap” che, soprattutto alle nostre latitudini, si percepiscono forte e chiaro. Ad esempio, quelli che riguardano le differenze territoriali e che, ancora una volta, vedono un’Italia a due marce. Infatti, sia per quanto riguarda le competenze digitali che per il pensiero computazionale, gli studenti del Nord Ovest, del Nord Est e del Centro raggiungono punteggi nettamente più alti dei loro coetanei del Sud e del Sud Isole: si passa - per le CIL - dai 511 punti del Nord Ovest ai 440 delle Isole e - per il CT - dai 504 e 502 punti di Nord Ovest e Nord Est ai 423 punti delle Sud Isole.
Dati, questi, che devono far riflettere. Anche se, per fortuna, è stato riscontrato un netto miglioramento, almeno per il primo ambito dell’indagine, rispetto al precedente ciclo, per tutti gli studenti. Proprio l’Italia, con uno scatto in avanti di 30 punti, ha fatto registrare il più ampio miglioramento, passando dai 461 punti del 2018 ai 491 nel 2023; con un incremento degli esiti di entità simile per Nord, Sud e Centro.
Chi l’ha detto che le STEM non sono roba da ragazze?
Proseguendo nell’analisi del report, bisogna premettere che le differenze di genere non sono mai da incoraggiare, ma in questo caso vanno sottolineate. Perché tradizionalmente i reparti tecnici e scientifici del sapere sono considerati appannaggio del genere maschile, pregiudizio di cui ancora paghiamo le conseguenze in diversi campi, come nella ricerca o nel mondo del lavoro. Ma, almeno per quanto riguarda le adolescenti, questo falso mito viene completamente sfatato dalla ricerca ICILS.
In Italia, infatti, le 13enni - età presa a riferimento - ottengono, nelle competenze digitali, il punteggio medio di 500 punti, contro 482 dei maschi, con un vantaggio di 18 punti sulla scala. Inoltre, c’è da dire che in quasi tutti i Paesi partecipanti le ragazze hanno ottenuto punteggi significativamente superiori dei ragazzi in CIL. Per il pensiero computazionale, invece, gli studenti sono davanti alle studentesse, ma in maniera non statisticamente significativa (in Italia maschi 485 vs femmine 478).
Lo strano legame: chi ha più di 26 libri in casa è più bravo in informatica
Quanti libri hai in casa? Qual è il titolo di studio dei tuoi genitori? Che lavoro fanno mamma e papà? Potrebbero sembrare domande bizzarre, ma sono quelle proposte dal questionario ICILS per trovare ulteriori spunti d’analisi. Così si scopre che, chi ha competenze digitali più avanzate e un miglior livello di pensiero computazionale, proviene da contesti in cui il background socio-economico e culturale è avvantaggiato.
Sorprende, però, che il fattore che muove di più è la presenza di libri nella propria abitazione. Il confine viene piazzato a quota 26: in Italia, la differenza per chi ha più o meno di quel numero di testi è di ben 40 punti in CIL (meno di 26 libri 465 vs 26 o più libri 505) e di 44 punti in CT (meno di 26 libri 454 vs 26 o più libri 498).
Si può fare di più
Finora il quadro sembra sostanzialmente positivo per i nostri studenti. In realtà, però, i giovani nativi digitali dovranno sforzarsi ancora un po’ di più per raggiungere gli obiettivi sulle competenze digitali che l’UE si è proposta per il 2030.
Per interpretare i punteggi in base alle abilità degli studenti, infatti, i risultati vengono presentati usando quattro livelli di riferimento internazionali, che rappresentano un insieme di conoscenze e competenze che le ragazze e i ragazzi dovrebbero avere per rispondere correttamente alle prove di competenza digitale associate a quel livello.
Il livello 2 è quello considerato intermedio e, secondo l’Unione Europea, tra una manciata di anni solamente il 15% dovrebbe essere al di sotto di questo livello per quanto riguarda la scala CIL. Allo stesso tempo, siamo ancora piuttosto lontani dal traguardo minimo: basti pensare che a livello internazionale, in media, circa la metà degli studenti ottiene un punteggio inferiore al livello 2. In Italia, questa percentuale è del 46%. Siamo, quindi, in buona compagnia. Ma non è comunque una giustificazione.