Passano dall'11,5% al 10,5% i giovani tra i 18 ai 24 anni che lasciano gli studi prima del diploma
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La classifica ci penalizza ma i passi in avanti sono più che evidenti, soprattutto grazie alle studentesse. Quello della dispersione scolastica è storicamente un tema che tiene in scacco l’Italia. Negli ultimi anni, però, il trend sembra essersi stabilizzato su binari positivi. Gli ultimi dati Eurostat, relativi al 2023, ci dicono che il 10,5% dei nostri giovani - tra i 18 e i 24 anni - ha lasciato prematuramente gli studi, non conseguendo il diploma di scuola superiore o un titolo equivalente. Un numero alto, ma decisamente inferiore a quello dell’anno precedente, quando raggiungeva l’11,5%. Gran parte del merito. come detto, va ascritto alla componente femminile: qui solo il 7,6% lascia la scuola prematuramente.
I dati sono confortanti, la posizione un po' di meno
Certo, la strada da fare è ancora molta, perché l’obiettivo fissato a livello comunitario per il 2030 - pari al 9% - è piuttosto distante. Nel frattempo, però, qualche confortante traguardo è già stato conseguito. Innanzitutto, siamo ormai in linea con quanto stanno facendo gli altri paesi UE: prendendoli nel loro complesso l’abbandono scolastico è al 9,5%. Dunque, solo un punto percentuale ci separa da questa soglia psicologica di galleggiamento. Anzi, se vogliamo, stiamo correndo più velocemente, visto che in dodici mesi l’Italia ha “tagliato” dell’1% la quota di dispersi, mentre la media UE è scesa appena dello 0,1%.
Quella che bisogna migliorare davvero, semmai, è la nostra posizione. Come fa notare l'analisi del rapporto effettuata dal portale Skuola.net, restiamo infatti nelle retrovie della graduatoria europea: attualmente siamo al quintultimo posto. Nazioni come Irlanda, Polonia, Grecia - tutte a ridosso del 4% di “dispersi” - le vediamo col cannocchiale. Anche qui, però, c’è da ricordare che fino a un paio di anni eravamo i terzi peggiori. Volendo fare nomi e cognomi, oltre a Ungheria e Romania, ci lasciamo dietro paesi come la Spagna e la Germania. Non male.
Le ragazze trainano il cambiamento
Sembrano passate ere geologiche da quando facevamo registrare un tasso di abbandono scolastico del 24%, a fronte di una media UE del 17%, sette punti al di sotto. Ebbene, era solo il 2002. E, ancora nel 2015, eravamo al 15% (a livello comunitario in quell’anno la media fu dell’11,5%, tre punti e mezzo in meno). Il progresso è innegabile.
E poi c’è la questione di genere che, ribadiamo, fa la differenza. Tra le ragazze, infatti, la dispersione si ferma ad appena il 7,6%, persino meglio della media femminile europea (7,7%). Le stesse che, nell’ultimo decennio, hanno ridotto il dato di circa cinque punti percentuale: nel 2014 fu del 12,2%.
I maschi, invece, continuano ad arrancare: nel 2023 il loro tasso di abbandono è stato del 13,1% (la media europea è dell’11,3%), Anche loro, comunque, seguono la via del miglioramento: l’anno precedente erano il 13,6% e, analogamente alle ragazze, in dieci anni hanno lasciato per strada quasi cinque punti di dispersione (nel 2012 fu del 17,7%).
In Italia i "dispersi" sono soprattutto nelle grandi città
Tra le righe del report Eurostat, però, c’è anche un elemento non sempre considerato ma che, specie in riferimento al nostro Paese, è particolarmente rilevante. La distribuzione dei “dispersi”. Perché, se quasi dappertutto in Europa questi si trovano soprattutto nelle aree rurali e nei piccoli centri, l’Italia e l’Austria sono le uniche nazioni in cui le quote più consistenti si rintracciano nelle grandi città, presumibilmente nelle zone più complicate. Una dinamica che non va assolutamente sottovalutata e che conferma l’aria che si respira in molte periferie urbane.
Per concludere resta un ultimo quesito a cui provare a rispondere: che fine fanno quelle ragazze e quei ragazzi che abbandonano prima del tempo gli studi? E qui, sempre con riferimento all’Italia - ma il quadro europeo non è molto diverso - emerge un altro problema: è facile che si siano arresi. Solo una metà scarsa - attorno al 45% - risulta che stia lavorando; gli altri si dividono tra chi non trova un’occupazione e chi non la cerca affatto. E questo apre a molte altre riflessioni che vanno ben al di là dell’abbandono scolastico.