Ultracinquantenni e soprattutto di sesso maschile: questo l’identikit dei nostri professori universitari, tra i più "attempati" d'Europa
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Se sei giovane, meglio depennare il mestiere di "docente universitario" dalla lista delle ambizioni. Almeno in Italia. Il nostro, infatti, continua a essere il Paese con la distribuzione dei docenti di livello terziario che, dal punto di vista anagrafico, si concentra maggiormente nelle classi più anziane: l’età media nell’anno accademico 2022/2023 è stata di 51,1 anni. In ulteriore aumento rispetto a un decennio fa, quando era di "appena" 50,6 anni. A evidenziarlo è l’analisi fatta dal portale Skuola.net sulla base dell’ultimo rapporto Anvur, l’agenzia di valutazione del sistema universitario, che fotografa lo stato di salute nel nostro sistema accademico.
Le carriere iniziano tardi
Perché se si osservano le diverse qualifiche, se sembra quasi normale che tra i professori di I fascia, i cosiddetti "ordinari", all’apice della carriera, l’età media sfiori i 60 anni (58,2), è meno accettabile che quella dei professori di II fascia, gli "associati", sia di oltre 50 anni (51,8). Solo i ricercatori dunque abbassano, per così dire, la media generale. Complessivamente, però, ben il 56% è un over 50. Appena il 15% dei docenti, invece, ha un’età compresa tra 30 e 39 anni; solo il 28,8% appartiene alla fascia d’età tra i 40 e i 49 anni; un impercettibile 0,2% dei docenti è un under 30.
Ma per comprendere davvero il livello di "vecchiaia" delle cattedre universitarie è necessario confrontare i nostri numeri con quelli delle altre nazioni. Visto che siamo l’unico Paese dell’area Ocse in cui la maggioranza dei professori ha dal mezzo secolo in su. Nell’Unione europea, ad esempio, oltre quella soglia si trova mediamente il 40% dei docenti.
All’opposto, nelle fasce d’età minori di 30 anni l’Italia include meno dell’1% dei docenti, a fronte di una media Ue di circa l’8%, otto volte tanto. E se prendiamo in esame alcune realtà in cui l’insegnamento accademico è particolarmente "precoce", il raffronto diventa impietoso. In Germania, per dire, il 22,8% dei docenti ha meno di 30 anni mentre in Francia sono l’11,6%.
Le donne in cattedra sono ancora in netta minoranza
A questo, poi, si aggiunge il tema della partecipazione femminile. Se nell’area Ocse la parità di genere è un traguardo alla portata - il 44,9% dei docenti universitari è donna - da noi è ancora lontano. L’Italia è, infatti, ancora il Paese con la più bassa presenza femminile nel corpo docente (37,9%), seguito dalla Germania (40%), dalla Spagna (44,9%), dalla Francia (45,3%) e dal Regno Unito (46%).
L’unico appiglio per guardare con un po’ di fiducia al futuro è quello che mostra la crescita del numero dei docenti in termini assoluti. Ciò è il frutto di una legge del 2010 (la n.240) che ha posto forti limitazioni al turnover degli organici e aperto a ingenti finanziamenti per il reclutamento di nuovi insegnanti, specialmente ricercatori e professori di II fascia. Che dopo circa dieci anni dall’entrata in vigore, andando pienamente a regime, ha visto una notevole crescita delle cattedre: dai 57.305 del 2012 al ai 61.099 del 2022 (+6,6%). Ma, purtroppo, questo non è bastato, al momento, per favorire l’ingresso di nuovi talenti.