Il caso della scuola che vieta alle alunne di mettere le unghie finte pare tutt’altro che isolato. Oltre uno studente su quattro ha un "dress code" che impone un certo vestiario. Ma nei mesi caldi le indicazioni sull’abbigliamento arrivano a interessare ben sei ragazzi su dieci
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Vietato indossare unghie finte a scuola, in quanto “dannose per la salute e possono anche ferire i compagni". La recente circolare di un istituto del torinese è solo l’ennesimo caso di una prassi abbastanza diffusa: normare in ambito scolastico comportamenti, atteggiamenti e abbigliamento in modo che siano consoni al contesto. In mancanza di una normativa nazionale, sono infatti numerose le scuole che non si affidano solo al buon senso ma decidono di formalizzare il tutto con indicazioni pratiche. A confermarlo sono le indagini che periodicamente conduce il sito Skuola.net, per monitorare cosa succede nelle nostre scuole.
Le regole "bizzarre" sono molto frequenti
Una di queste, realizzata qualche tempo fa, sembra proprio sgomberare il campo dall’idea che l’iniziativa della preside piemontese sia un episodio isolato. In quell’occasione, tra i 1.300 studenti di scuole secondarie intervistati, oltre 1 su 3 (più precisamente il 37%) raccontava di aver a che fare, all’interno del proprio istituto, con regole comportamentali giudicate dai diretti interessati “strane” se non addirittura “assurde”. Alcuni esempi? Si va dal non poter andare in bagno in determinati momenti della giornata all’impossibilità di indossare piercing al naso (valevole solo per gli uomini), passando per l’obbligo di lasciare la classe durante la ricreazione e per il divieto di scattare foto in classe se si indossa una maschera.
L'abbigliamento è il sorvegliato speciale
Insomma la fantasia, a detta degli studenti, non manca. Anche se i campi dove si concentrano i regolamenti di istituto sembrano indirizzarsi soprattutto su due ambiti precisi: il vestiario e lo smartphone. La stessa ricerca, infatti, segnalava come meno di 2 alunni su 5 (ovvero il 38%) dicevano di essere liberi di indossare in classe quello che ritenevano più opportuno. Tutti gli altri invece, seppur con varie sfumature, riportavano di un “dress code” scolastico: per il 26% era messo nero su bianco su una circolare, al 33% veniva solo “suggerito” di vestirsi in modo sobrio, al 3% era imposta una sorta di divisa scolastica. Indicazioni che, messe in fila, hanno come obiettivi quelli di ridurre la quantità di pelle esposta al pubblico o di evitare l’eccesso di piercing, tatuaggi e colorazioni dei capelli inusuali.
Con l'arrivo del caldo le scuole alzano le antenne
Ci sono, poi, periodi dell’anno in cui i presidi innalzano il livello di attenzione su come vanno a scuola i propri studenti. E’ il caso della primavera. Un altro sondaggio di Skuola.net - condotto sul finire dello scorso anno scolastico, grazie alle voci di 1.500 alunni delle scuole secondarie, ha mostrato come con i primi caldi i divieti sull’abbigliamento diventano ancora più pressanti. Ad esempio, circa 6 studenti su 10 dovevano fare attenzione a come e quanto scoprivano le gambe (con shorts, bermuda o gonne) e oltre 1 su 2 doveva badare anche alla parte superiore del corpo (limitando l’uso di top, magliette corte o canottiere).
Sulla lotta agli smartphone gli istituti si sono mossi da tempo
Infine, parlando di divieti, non si può non ricordare la battaglia che il Ministero dell’Istruzione e del Merito sta combattendo contro la presenza degli smartphone a scuola. O, per meglio dire, contro il loro uso improprio in classe. Un tema su cui, però, molti istituti si sono mossi in autonomia già da tempo. L’ultima, recente, circolare del Ministero non ha fatto altro che spingere tante altre scuole ad accodarsi. Stando a quanto evidenzia un terzo sondaggio di Skuola.net realizzato qualche settimana fa - con protagonisti 1.800 studenti (ancora una volta di medie e superiori) - oggi quasi 6 alunni su 10 hanno regole scritte anche sull’uso dei dispositivi personali in ambiente scolastico. A cui va aggiunto un 21% che per ora non ha ricevuto indicazioni ufficiali ma solo avvertimenti verbali. A conti fatti, dunque, appena un quarto (25%) ha campo libero.