Ennio Cascetta è considerato uno dei padri della moderna ingegneria dei trasporti italiana. Eppure ha alle spalle un percorso “classico”. I suoi consigli, perciò, possono essere molto utili a quegli studenti che, nei giorni in cui devono scegliere la scuola superiore, sono dubbiosi sulla validità che nel mondo di oggi può avere un diploma umanistico
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Chi l’ha detto che le scienze e le discipline umanistiche siano due mondi destinati a non incontrarsi? E che una formazione “classica” - leggasi liceo - non possa dare grandi soddisfazioni anche in area “tecnica”? Perché si tratta solo di preconcetti. Con la passione, i giusti stimoli e una sana dose di determinazione, infatti, qualsiasi percorso può diventare fattibile e ricco di successi. A dimostrarlo sono storie come quella di Ennio Cascetta, ingegnere dei trasporti di fama internazionale - tra i primi italiani a insegnare al prestigioso MIT di Boston - e tra i padri dello trasportistica di casa nostra.
Il diploma Classico è ancora una buona scelta?
Il sito Skuola.net lo ha intervistato proprio nei giorni in cui si aprono le iscrizioni scolastiche. Parlando anche del tema dell’orientamento e cercando di sfatare il più grande dei falsi miti sull’argomento, che vede il liceo Classico come una scelta sorpassata e che, non consentendo poi di abbracciare i mestieri che daranno maggiori soddisfazioni negli anni a venire, ovvero quelli tecnici, sarà destinato a “tribolare” quando sarà il momento di cercare lavoro. Parole, le sue, che danno una lettura diversa della situazione e che possono essere di grande aiuto a chi è ancora indeciso se prendere una direzione o l'altra.
Lei ha alle spalle una formazione classica: come ha fatto a diventare un “guru” mondiale della mobilità?
"Quello che conta sono lo studio, la preparazione e anche esperienze diverse. Ho sempre amato studiare. L’iscrizione al Classico per me è arrivata come percorso naturale".
Ma nello specifico qual è stato quel “qualcosa in più” che le ha dato il liceo Classico?
"Confrontarmi con le lingue classiche, i filosofi, la letteratura, mi ha aperto la mente e mi ha dato delle competenze che sono state utilissime anche nel mio percorso successivo. Una su tutte, la capacità di interpretare la realtà osservandola da vari punti di vista, quello che si può chiamare “il senso critico”. Motivo per il quale suggerirei ancora adesso a tutti di provare il Classico”.
Ammetterà, però, che non si tratta del percorso più ordinario per chi mira a diventare ingegnere…
“Non sono d’accordo. Sicuramente chi proviene da un Classico troverà più difficoltà all’inizio (così è stato anche nel mio caso), ma al termine del percorso potrà avere una marcia in più. E comunque io non volevo fare l’ingegnere”.
In che senso?
"Avrei voluto diventare filosofo. Fu mio padre, saggiamente, a consigliarmi Ingegneria: ‘avrai molte più opportunità e se un domani vorrai approfondire la filosofia potrai sempre farlo”, mi disse. Infatti ho continuato a farlo”.
Perché, poi, ha scelto proprio ingegneria dei trasporti?
"Anche in quel caso fu mio padre a darmi lo stimolo. Era un grande osservatore della società e si era reso conto che l’esigenza di muoversi per le persone non sarebbe mai venuta meno, anzi sarebbe cresciuta col tempo. La Federico II di Napoli (città d’origine di Cascetta, ndr) aveva un corso di Ingegneria dei Trasporti di ottimo livello e per me fu un approdo naturale, anche se non semplicissimo".
Quali sono stati gli ostacoli più alti da superare, specialmente quelli legati al diploma classico?
"Il primo anno fu difficile confrontarsi con la matematica, ma mi affidai alle mie capacità razionali e logiche, con le quali ero convinto che avrei potuto superare ogni cosa. E così mi sono laureato in 5 anni con il massimo dei voti".
A un certo punto, quindi, è scattata la passione per la materia?
"Proprio così. Ho dedicato tutta la prima parte della mia vita ad approfondire, fare ricerca, studiare. Dopo la laurea decisi immediatamente di restare dentro l’Università, anche se con contratti precari pagati pochissimo e rinnovati di anno in anni Ma era quello che amavo fare ed ho tenuto duro".
Qual è stato, secondo lei, il punto di svolta della sua carriera?
"Negli anni in cui mi sono laureato io, in Italia, l’ingegneria dei trasporti era ferma allo studio delle infrastrutture, delle strade e ferrovie, lontana da quanto avveniva nel mondo, dove invece si era capito che quello dei trasporti è per definizione un sistema dove territorio, domanda di mobilità, tecnologie e infrastrutture si interfacciano continuamente. Io sono stato fra i primi a portare da noi questo approccio sistemistico, così ho potuto sfruttare tutti gli spazi che si sono aperti e a 32 anni sono diventato professore ordinario".
Come è nata la collaborazione con il MIT?
“In quei primi anni da ricercatore ho investito molto nelle relazioni, perché credo che da soli non si possa costruire niente. Uno dei professori con cui entrai in contatto aveva una cattedra al MIT e mi offrì di tenere un corso estivo di approfondimento sui temi trasportistici. Eravamo all’ inizio degli anni '90. Lo vidi come un modo per mettermi in discussione e darmi lo stimolo per continuare a studiare ed imparare. Anche perché, se vai a insegnare agli studenti del MIT, non puoi certo raccontare banalità. E’ stata veramente una bella esperienza. E lo è ancora: il corso ormai va avanti da quasi 30 anni, anche se i contenuti sono cambiati eccome”.
Forte della sua esperienza, anche di professore, che consigli darebbe a chi deve orientarsi oggi?
“Passione e razionalità. Cuore e cervello. A mio parere sono questi gli ingredienti basilari. Non basta trovare quello che ci piace fare, bisogna anche chiedersi se ci sono gli spazi per farlo. Se avessi fatto il filosofo, ad esempio, sicuramente avrei seguito il mio istinto, ma difficilmente avrei potuto avere tutte le occasioni di conoscenza e crescita professionale che mi ha offerto il mondo dei trasporti. Se si ha una passione è bene seguirla, ma le scelte lavorative è bene farle anche osservando che cosa chiede il mercato e gli scenari futuri della società. Oggi per esempio consiglierei materie STEM, scienza, tecnologie, ingegneria e matematica, senza dimenticare una solida cultura generale che ci consente di cambiare durante la vita”.