NON TUTTE LE SCUOLE SONO UGUALI

Lo stipendio dei presidi? Dipende da quanto è “complessa” la scuola: ecco quelle più difficili d’Italia

Non tutte le scuole possono essere gestite allo stesso modo. Non a caso il Ministero dell’Istruzione e del Merito periodicamente le suddivide in fasce, basate sulle caratteristiche di plessi, popolazione studentesca e territorio di appartenenza

05 Lug 2024 - 16:34
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Quali sono le scuole più complicate da dirigere in Italia? Forse non tutti sanno che, per rispondere a questa domanda, c’è una lista ufficiale, stilata ogni anno dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, basata su una serie di criteri, tra cui la numerosità della popolazione scolastica e il contesto sociale a cui appartiene. Si va dalla “Fascia A”, più complicata, alla “Fascia C”, la meno sfidante, passando per l’intermedia “Fascia B”. E più la situazione è “intricata” maggiore è la componente variabile dello stipendio dei dirigenti scolastici.

Come sapere in quale fascia si colloca la propria scuola di appartenenza? Come fa notare il portale Skuola.net basta scaricare l’apposito elenco sul sito del MIM, aggiornato qualche giorno fa, che ha determinato - in vista del biennio scolastico 2024-25 e al 2025-26 - un nuovo schema di assegnazione del punteggio, sancendo “promozioni” e “retrocessionI” in classifica.

Come vengono assegnati i punti agli istituti

Ma, alla fine, come vengono attribuiti questi punti? Cercando in qualche modo di “premiare” lo sforzo di chi deve gestire scuole con maggior numero di docenti e studenti, edifici e livelli scolastici, difficoltà di contesto territoriale e sociale. Il meccanismo è abbastanza articolato, chiamando in causa tantissimi elementi, quasi tutti già collaudati. Quelli che, decreto alla mano, trainano più di tutti il “coefficiente di difficoltà” delle scuole riguardano le “dimensioni”. In particolare il numero di alunni presenti, che può valere fino a 17 punti.

Gli altri due pilastri, invece, sono rappresentati dal personale da gestire, ossia dal numero dei docenti in servizio - comprensivo di posti comuni, speciali, di sostegno e per l’insegnamento della religione cattolica - nonché da quello del personale amministrativo, tecnico e ausiliario: in entrambi i casi possono portare fino a 12 punti. Una sezione specifica è, poi, dedicata alle vere e proprie “complessità” che potrebbero innescarsi nel singolo istituto. In particolare, si fa riferimento alla presenza di alunni disabili, che può assegnare addirittura fino a 13 punti (per chi ne accoglie come minimo 140). Meno impegnativa, in confronto, viene considerata un’alta concentrazione di alunni stranieri privi di cittadinanza italiana, quindi in teoria con più difficoltà a integrarsi: nel peggiore dei casi - dal 34%, sul totale degli iscritti, in su - vengono assegnati 12 punti.

Altri elementi e nuovi criteri di valutazione

D’ora in avanti, però, le tabelle si arricchiranno di un nuovo importante elemento di valutazione: l’indicatore ESCS, vera novità del recente aggiornamento, che misura - da 1 a 4 - il background socio-economico del territorio in cui è inserito l’istituto assegnato a quel determinato preside. Più il numero è basso, più critica sarà la situazione, più elevato sarà il punteggio. Nei contesti più “difficili”, si possono raccogliere fino a 7 punti.

Anche la quantità di plessi - ossia di edifici dislocati in vari punti del territorio - che il dirigente scolastico deve gestire ha il suo peso, che può essere al massimo di 10 punti (se i plessi sono dodici o più). Coefficiente che aumenta ulteriormente se le strutture si trovano sparse su più comuni.

Leggermente inferiore viene, invece, giudicato l’influsso di una pluralità di livelli scolastici offerti nella medesima struttura: chi ha dall’asilo alle superiori porta in dote 8 punti. Infine, nel computo vengono inserite alcune specificità, a cui sono collegati degli aggravi di gestione. Come, ad esempio, l’essere collocati su piccole isole o in comuni montani: in questi casi sono previsti 4 punti in più.

Le proteste dei presidi

Proprio l’iter di aggiornamento dei suddetti parametri, però, ha scatenato le proteste dei rappresentanti dei presidi, ANP in testa. Le bozze iniziali, infatti, parlavano di un “declassamento” di parecchi istituti. Le stime dei sindacati di categoria sostenevano che si sarebbe passati dal 22% al 16% di scuole in “Fascia A”. Il che si sarebbe tradotto in una riduzione stipendiale di circa 4.000 euro annui per 1.500 dirigenti. Di contro, le strutture nella (teoricamente) meno scomoda “Fascia C”, avrebbero potuto passare dal 14% al 19,5%. Così come pure quelle in “Fascia B” sarebbero cresciute. Con un taglio, a conti fatti, di circa 12 milioni di euro.

Alla fine, comunque, il risparmio per il Ministero ci sarà - attorno agli 8 milioni di euro - ma non sarà il frutto dei movimenti dei plessi tra le fasce di complessità bensì del cosiddetto “dimensionamento scolastico”, dovuto soprattutto al crollo delle nascite, che porterà sempre meno alunni nelle nostre classi. Si passerà, infatti, da oltre 8.000 scuole - per altrettanti presidi - a poco più di 7.500, previste per gli anni scolastici 2024-2025 e 2025-2026. A scendere, dunque, saranno i beneficiari, ma in modo trasversale a tutte le fasce. Mentre la consistenza degli scaglioni resterà pressoché immutata: circa il 22% di strutture in “A”, attorno al 65% in “B”, circa il 13% in “C”.

Anche a livello stipendiale, come si diceva, cambierà poco o nulla. I dirigenti scolastici assegnati agli istituti più ostici percepiranno 21.600 euro annui, mentre saranno 17.600 gli euro assegnati a coloro che dovranno gestire le scuole di media complessità e 13.600 quelli appannaggio dei presidi degli istituti sulla carta più agevoli. A cui, poi, va ad aggiungersi la quota variabile a seconda, appunto, della fascia di appartenenza. Il MIM la quantifica mediamente in “500 euro annui lordi”.

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