Se si parla di stereotipi di genere e accettazione di alcuni comportamenti aggressivi all’interno della coppia, le nuove generazioni sono quelle che fanno la figura peggiore
Il geloso
La commozione per l’ultimo femminicidio trattato dalla cronaca, purtroppo, col tempo resterà solo un ricordo. I pregiudizi di genere, invece, restano. Anzi, rischiano di aumentare. Nonostante da anni si ripeta questa dinamica, negli italiani infatti restano ben radicati alcuni schemi mentali, che in casi estremi diventano pre-condizioni per esiti drammatici. Proprio come quella capitata a Giulia Cecchettin. E la cosa più preoccupante è che gli i giovani sembrano essere più retrogradi dei tanto dileggiati boomer.
Basti pensare che circa il 4% delle persone tra i 18 e i 29 anni ritiene accettabile che un ragazzo schiaffeggi la sua fidanzata perché ha flirtato o semplicemente fatto gli “occhi dolci” a un altro uomo, quando la media generale è di quasi la metà (2,3%). È questo, forse, il dato più allarmante che esce fuori dall’indagine Istat “Stereotipi di genere e immagine sociale della violenza”, condotta tra maggio e luglio 2023 e di cui sono stati pubblicati i primi risultati qualche giorno fa. E non è l’unico comportamento “sentinella” che i giovani sembrano tollerare più degli adulti, così come riporta il portale Skuola.net nella sua analisi.
Giovani indietro rispetto agli adulti sulla parità di genere
Sono loro, infatti, a sembrare ben più “patriarcali” degli adulti, ovvero di quelli che in teoria dovrebbero instillare quella cultura nei propri figli. Perché, sempre nella fascia 18-29 anni, circa il 5% pensa che sia quasi normale che in una relazione di coppia ci scappi uno schiaffo ogni tanto; anche qui sopra la media complessiva, seppur con minori differenze. I numeri più bassi? Si trovano tra i 45 e i 59 anni. Però è significativo che solo le persone tra i 60 e i 74, cresciute quindi una società certamente più maschilista, la pensino allo stesso modo con una frequenza simile ai più piccoli.
Normale, a fronte di questi numeri, che la situazione sia molto più critica al cospetto di situazioni considerate meno gravi. Ecco, dunque, che oltre il 16% dei giovani under 30 non ci trovi nulla di male nel fatto che un uomo controlli abitualmente il cellulare o l'attività sui social network della propria partner. Anche qui, la media sul campione totale è nettamente inferiore (10,2%).
La violenza e gli stereotipi resistono
E poi, come fa notare l’analisi del report effettuata dal portale Skuola.net, ci sono gli stereotipi, il sentire comune. Al cui cospetto, specie se legati alla sfera sessuale, la situazione si fa drammatica. Su tutto, il pensiero ancora molto diffuso che una donna vittima di violenza possa, in alcune circostanze, essere in parte responsabile dell’aggressione subita. E in questo, la componente femminile della società non si aiuta.
Perché è vero che addirittura quasi due uomini su cinque (39,3%) ritengono che una donna possa essere in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole; ma allo stesso modo la pensa anche il 29,7% delle donne. Parimenti, circa un uomo su cinque (19,7%) ritiene che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire; ma sorprendentemente questa affermazione trova in accordo il 14,6% delle intervistate.
Maschi e femmine che, inoltre, sono preoccupantemente in linea su altri due luoghi comuni più volte introdotti quando ci sono casi di violenza sessuale su una donna: circa l’11% sostiene che la vittima, se ubriaca o sotto l’effetto di droghe, sia almeno in parte responsabile, mentre il 10% ritiene che se una donna dopo una festa accetta un invito da un uomo e viene stuprata, se finisce male è anche colpa sua.
La rigida divisione dei ruoli è difficile da combattere
L’unico segnale che qualcosa si sta muovendo, per fortuna, arriva da un’inversione di tendenza, portata avanti proprio dalle ragazze, sugli stereotipi legati ai ruoli di genere. Le donne stanno cercando di riportare i due universi su un piano di parità anche su compiti tradizionalmente concepiti come prettamente femminili o, al contrario, prerogativa maschile.
Ma, per il momento, la loro diffusione resta elevata. I più difficili da rimuovere? La visione secondo cui l’uomo è meno adatto a occuparsi delle faccende domestiche. Oppure l’idea che una donna, per essere “completa”, debba avere necessariamente dei figli o che sia compito quasi esclusivo delle madri occuparsi dei figli. O, ancora, quella per cui il successo nel lavoro è fondamentale più per l’uomo che per la donna. Storture, tutte quelle appena elencate, ben radicate nella testa di un quinto degli italiani. Non distante, infine, va aggiunto il fatto che molti pensino che al sostentamento economico della famiglia ci debba pensare soprattutto l’uomo: lo sostiene circa uno su sei.
Meno presenti, ma comunque da condannare, quelli che considerano le femmine inadatte a studi e mestieri legati alle discipline tecniche e scientifiche (11,4%) o chi, nel ballottaggio per un posto di lavoro, pensa sia giusto dare la precedenza sempre a un maschio (8,2%). C’è pure chi ancora pensa che una buona moglie debba assecondare il punto di vista del marito, anche se in disaccordo (6,5%) e chi affida all’uomo il ruolo di “decisore” della famiglia (6,3%). E meno male che, come detto, le donne contribuiscono ad abbassare la media su tutti gli indicatori. Un piccolo indizio che la voglia di migliorare la propria condizione c’è.
Ripartire dalla scuola: una necessità non più derogabile
“I dati raccolti dall’Istat ci confermano che il progresso nella marginalizzazione degli stereotipi di genere e dei comportamenti prevaricanti non avviene in maniera naturale, anzi al contrario: le nuove generazioni mostrano una preoccupante arretratezza di mentalità se confrontata con quella delle persone più mature. È per questo che risulta fondamentale intraprendere, come hanno già fatto molti altri paesi, un percorso di educazione alle relazioni affettive, curriculare, fin dai primi anni di scolarizzazione. Chiaramente, come consiglia l’OMS, con un programma e un approccio scientificamente validato e non lasciato alla libera iniziativa delle singole comunità educanti”, così commenta Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.