Puntuale come un orologio svizzero, l’autunno caldo delle scuole sarà inaugurato dallo sciopero di venerdì 17 novembre. Le occupazioni degli ultimi giorni sono state il preludio della nuova mobilitazione nazionale: Cristina Costarelli, Presidente dell’Associazione Nazionale Presidi del Lazio e preside del liceo scientifico ‘Newton’ di Roma, intervistata dal portale Skuola.net ha sottolineato quali sono le implicazioni per gli studenti impegnati in queste forme di protesta.
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Venerdì 17 anche gli studenti scenderanno in piazza per protestare. Non tanto per solidarietà con le altre categorie in agitazione nello stesso giorno ma perché ricorre in tutto il mondo la “Giornata Internazionale degli Studenti”. Insomma stiamo entrando nel vivo del solito autunno caldo delle proteste studentesche, con le occupazioni di istituti a Napoli e Roma negli scorsi giorni e il primo sciopero nazionale della stagione, che sfocerà nelle piazze di una quarantina di città, da nord a sud.
Ma cosa comportano questi esercizi dei diritti democratici in ambito scolastico? Le assenze per manifestazione hanno conseguenze sugli studenti? L’occupazione di un istituto può comportare sanzioni disciplinari? Che differenza c’è tra occupazione e autogestione? Skuola.net ha interpellato Cristina Costarelli, Presidente dell’Associazione Nazionale Presidi del Lazio e preside del liceo scientifico ‘Newton’ di Roma, per creare una guida essenziale ad uso degli studenti e dei loro genitori.
Occupazione o autogestione? Con la seconda si corrono meno rischi
L’occupazione è una delle forme di protesta maggiormente utilizzate dagli studenti. Si tratta di una pratica divenuta molto comune nel corso degli anni, da non confondere con l’altrettanto celebre autogestione. La differenza è sostanziale, come ci spiega la Preside Costarelli: “L’occupazione è un’azione che si profila come un reato. Non tanto per l'aspetto dello stare dentro l'edificio scolastico, perché alcune sentenze hanno riconosciuto che gli studenti potrebbero anche avere questo diritto, appunto, essendo studenti della scuola”.
Il punto è - e qui scatta il reato - l’interruzione del pubblico servizio: vale a dire lo stop della regolare attività didattica: “Questo - afferma Cristina Costarelli - è il reato che c’è dietro l’occupazione”. E non ci vuole molto perché si prefiguri questo scenario: “Basta un solo studente non occupante il cui diritto all’istruzione viene leso”.
Alla base dell’autogestione, invece, vi è un accordo tra scuola e studenti. Le autorità scolastiche si impegnano ad organizzare delle attività che poi vengono, appunto, ‘autogestite’ dagli stessi alunni: “Autonomamente e in accordo con le finalità educative e formative delle loro iniziative”, sottolinea la Preside dell’ANP del Lazio.
Occupare la scuola? Si rischiano denunce e sanzioni disciplinari
Si può quindi tranquillamente affermare che: sì, l’occupazione è una pratica illegale a tutti gli effetti. Chi vi prende parte rischia non solo una denuncia ma anche un vero e proprio processo, con conseguente condanna: “La denuncia passa, come tutte le denunce, alla procura, fa il suo decorso, e può essere archiviata come può essere conclusa con condanna”. Quel che è certo è che “diventa un reato penale a tutti gli effetti e segue il suo percorso”, spiega Cristina Costarelli. A questo punto è lecito chiedersi quali siano i rischi sul piano scolastico per gli studenti partecipanti.
Su questo versante non esiste una vera e propria regola generale. Ma certo è che in casi estremi lo studente può incappare anche in una spiacevole sanzione disciplinare: “Nei casi più gravi il Consiglio d’Istituto può definire eventuali sanzioni. Da questo punto di vista ogni scuola opera per conto proprio. Il Consiglio d'Istituto fa delle scelte diverse anche in base ai comportamenti assunti dai ragazzi, a quello che si riscontra al termine dell'occupazione. Ma certamente c'è anche un profilo disciplinare”.
Chi rompe, paga… ma non sempre
L’unica certezza è che, al termine dell’occupazione, si dovrà procedere alla conta dei danni: “Le occupazioni si concludono con dei danni che ci sono comunque, anche se non ci sono dei danneggiamenti evidenti alla struttura, perché anche la stessa igienizzazione che le scuole devono fare in modo approfondito, la pulizia, il riordino, comportano comunque un lavoro di ditte che vengono pagate o anche lavoro dei collaboratori scolastici”. Dunque, in un modo o nell’altro, sempre di danno si parla, precisa Cristina Costarelli.
Ma potrebbe anche andare peggio. Non sono infatti mancati i casi con danni per decine di migliaia di euro “proprio in termini di distruzione di materiale, di arredi, di strutture”. E cosa si fa in questi casi? Semplice: “Si cerca di far pagare gli studenti e le famiglie, ma poi sappiamo bene che questo è molto difficile da realizzare concretamente perché, in genere in tutte le occupazioni, gli studenti che dichiarano la propria presenza sono una minima parte. E tanti studenti, spesso anche esterni, vengono fatti entrare nelle scuole, entrano, danneggiano e nessuno sa chi sia stato, quindi”. Una storia già scritta: alla fine nel 90% dei casi i danni vengono ripagati con i fondi pubblici delle scuole che sarebbero invece destinati ad altro.
Sciopero? Per gli studenti non è previsto
Paradossale se pensiamo che poi la scuola, per come è oggi, non prevede la possibilità di alcuna forma di sciopero o protesta da parte degli studenti. Esiste un solo scenario in cui gli studenti sono lasciati liberi di esprimersi: “La scuola non è luogo per manifestare perché, appunto, sciopera chi lavora. La scelta dipende dalle singole scuole ma normalmente le scuole autorizzano solo l’autogestione. Perché è uno spazio attraverso cui la scuola cerca invece di stimolare il dibattito interno tramite attività autogestite, dove gli studenti possono esprimere le loro idee e organizzare attività che ritengono importanti e formative”.
Chi sciopera o manifesta prende un brutto voto?
Ma chi decide comunque di prendere parte a queste forme di dissenso rischia poi di ritrovarsi un brutto voto sul registro? Non esistono punizioni simili, specifica Cristina Costarelli. L’unico rischio, se così vogliamo chiamarlo, è quello di vedersi assegnare l’assenza per il giorno in questione: “Sempre distinguendo le due cose, nel caso dell’autogestione, se è tale, è organizzata dalla scuola quindi ovviamente la partecipazione non porta ad alcuna sanzione. Anche la partecipazione a scioperi e proteste che si svolgono al di fuori della scuola non porta ad alcuna sanzione, si registra solo l’assenza. Quello che può invece condurre a sanzioni è, come detto prima, la partecipazione all’occupazione”. Anche se, in questo caso, si tratterebbe di sanzioni disciplinari non traducibili in un brutto voto, ma in qualcosa di peggio, come ad esempio la sospensione.
L’adesione allo sciopero vale come assenza
Resta fermo il fatto che la mancata partecipazione alle attività didattiche si traduce in un giorno di assenza. Poco importa il motivo che ha portato l’alunno ad assentarsi: “Per la scuola si tratta semplicemente di un giorno di assenza. Le assenze vanno poi giustificate dai genitori che dichiarano di essere consapevoli che il figlio non era a scuola” spiega la Preside del Liceo ‘Newton’ che inoltre precisa: “Non occorre portare un documento a scuola per giustificare. Nel Lazio, già dal 2018, non occorre più nemmeno il certificato medico per giustificare assenze superiori a cinque giorni. C’è da giustificare da parte dei genitori il riscontro dell’assenza. Poi il fatto che gli studenti partecipino a scioperi o manifestazioni è una loro singola scelta”.
Proteste studentesche, le richieste dei giovani vengono ascoltate?
Ogni anno vanno in scena occupazioni, manifestazioni, autogestioni. Ma nel concreto le loro richieste fanno breccia negli ambienti in cui si prendono le decisioni? “Sappiamo che dal’ 68 che gli studenti giovani protestano. Negli anni passati la loro protesta aveva più senso perché effettivamente lo spazio di ascolto era molto limitato e grazie proprio ad alcune forme di protesta si sono aperti degli spazi democratici” sentenzia Cristina Costarelli. La docente si schiera al fianco degli studenti sottolineando però come questi vivano un sistema scolastico decisamente migliore rispetto a quello dei nonni: “Adesso gli studenti hanno la possibilità di esprimersi, in forme appunto codificate. Io stessa negli anni scorsi ho proposto ad alcuni studenti di metterli in contatto con le istituzioni. Il Direttore Generale è venuto al Newton due anni fa a parlare con gli studenti, quindi l’ascolto c’è”.
Ciò non significa che sia tutto facile e ottenibile in breve tempo: “Sappiamo poi che per modificare alcuni processi ci vogliono delle azioni politiche che non è facile mettere in moto dall’oggi al domani. Ma negli ultimi anni qualcosa si sta muovendo. Basti pensare all’edilizia scolastica sulla quale si stanno investendo fondi; al discorso di impostare una didattica più operativa, più attiva. Anche da questo punto di vista i docenti si stanno formando”. La preside predica pazienza, una virtù molto rara tra i giovani che invece chiedono tutto e subito. Alcune volte degenerando nei modi: “Ritengo che la manifestazione in forma violenta non abbia mai senso. Ha senso esprimere un pensiero o una necessità, e da questo punto di vista tutti gli adulti sono disponibili all’ascolto, ma in forme che rientrano nella legalità” conclude la Presidente dell’ANP del Lazio.