Sebbene nessuna delle nostre università rientri tra le eccellenze globali (top 100 dei ranking più prestigiosi), la qualità media del sistema universitario italiano è di tutto rispetto
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L’Italia riesce a piazzare ben il 40% degli atenei nella classifica dei primi 1000 su scala mondiale (secondo le graduatorie QS e Times Higher Education). È quanto emerge da un’indagine elaborata da Italiadecide in collaborazione con Intesa Sanpaolo, intitolata “L’Italia e la sua reputazione: l’università”. La ricerca è stata condotta dal Direttivo scientifico dell'associazione capitanato dal professor Domenico Asprone con i professori Pietro Maffettone e Massimo Rubechi e si è basata sull’analisi fatte da stakeholder nazionali ed internazionali e da diverse classifiche internazionali. Ecco i risultati principali, sintetizzati da Skuola.net.
Un risultato medio più che soddisfacente
Qual è, dunque, la reputazione delle università italiane? E quali sono i fattori che la determinano? Il ragionamento ruota attorno a questi due interrogativi. La risposta non è così semplice. Perché, apparentemente, il nostro sistema accademico non se la passa proprio alla grande: l'Italia, infatti, non piazza nessun ateneo nei primi 100 posti. Ma, sebbene il prestigio delle nostre università non sia ai massimi livelli, la preparazione che riescono a fornire ai propri studenti è quasi ovunque buona; segno che il sistema gode di buona salute. Lo dimostra il fatto che, come detto, quasi la metà (40%) è annoverata tra le migliori mille del mondo. Facendo meglio di grandi Paesi come la Germania, gli Stati Uniti, la Cina, la Francia, che magari hanno delle punte di diamante ma anche dei tasselli deboli (ma già se si restringe l'analisi alle prime 500 posizioni il rendimento è praticamente lo stesso dei competitor diretti).
La ricerca, però, ha anche analizzato i dati limitandoli alle diverse aree geografiche per verificare quali siano state le regioni che hanno contributo al risultato italiano. E qui, purtroppo, arrivano le note dolenti. Cosa è emerso? Il Mezzogiorno vede pochissime università sia tra le prime 500 che tra le prime 1000 posizioni e nessuna tra le prime 200, in entrambi i ranking. Nonostante ciò, i dati per il Mezzogiorno d’Italia non sono poi così distanti da altre realtà europee come Francia e Germania. Se, dunque, il Sud avesse avuto numeri in linea col resto del Paese il bilancio finale sarebbe stato ancora più confortante.
Dipende tutto dalla lettura dei dati?
Questa situazione, secondo i più scettici, potrebbe dipendere dal fatto che l’Italia ha un numero di università inferiore rispetto ai principali Paesi europei. Ma, anche effettuando una normalizzazione dei dati sul totale di università presenti in ogni Stato in relazione al numero di studenti, sembrerebbe che l’Italia superi tutti incluso il Regno Unito, come aliquota di istituzioni universitarie tra le prime 1.000.
Università italiana: dati positivi anche dopo la pandemia
Il problema, piuttosto, è di attrattività internazionale, che impedisce ai nostri atenei di salire ulteriormente nei ranking. Per migliorare, secondo le conclusioni della ricerca, bisognerebbe tra le altre cose intervenire su politiche di reclutamento del personale accademico, lavorare sula macchina amministrativa, attivare collaborazioni tra atenei e con le imprese, comunicare meglio a livello sistemico oltre che, ovviamente, incrementare gli investimenti. Perché il sistema universitario italiano, anche a fronte di fondi sempre troppo insufficienti, ha dimostrato di tenersi saldamente in piedi, anche durante l’emergenza sanitaria da Covid-19; grazie anche alle risorse e alle misure straordinarie messe in campo (come l'estensione della no-tax area o l'aumento delle borse di studio).
Politiche che, secondo l’indagine, avrebbero dato già i primi risultati positivi. I dati ufficiali - tra il 15 novembre 2019 e il 15 novembre 2020 - segnalano un incremento di oltre il 9% delle immatricolazioni per il totale degli studenti e di quasi il 9% per le immatricolazioni alle sole lauree triennali. Entrando più nello specifico, guardando alle regioni, l’Umbria ha visto un incremento pari a oltre il 30%, seguita dalla Liguria (con il 18%) e dalla Sicilia (con oltre il 15%). Guardando ai singoli atenei, invece, sul podio al primo posto c’è l'università della Tuscia, seguita da Perugia e da L’Orientale di Napoli con una variazione rispettivamente del 56%, del 35% e del 32%.